Cesare Enrico Piardi
'Cesarino dol Nene di Quarantì'
Cesare Enrico Piardi "Cesarino
dol Nene di Quarantì"
Cesare Enrico Piardi "Cesarino" (1936) -
figlio di Giovanni (Sembrancher – Svizzera,
1909) detto Nene [dei furono Giovanni "Quarantì"
(1882) e di Caterina Vallana] e di Bregoli Faustina
(1911) - è Presidente del Comitato "I
PIARDI" dal 1° Maggio 1999.
Comitato "I PIARDI". Nel 2009 è
ricorso il 10° di costituzione del COMITATO organizzativo ""I
PIARDI""; un' idea nata il 31.1.1999 in GUSSAGO
(BS), durante l'incontro dei Piardi gussaghesi, più
di un centinaio, alla presenza dei rappresentanti di
tutte le originarie famiglie pezzazesi del Casato, anche di
quelle emigrate nel Comasco ed in Piemonte. L’idea è
stata perfezionata il 1° Maggio del medesimo anno in Pezzaze con
l'insediamento del Comitato, composto da una folta schiera
di volontari disponibili a collaborare.
Vedi http://www.piardi.org/comitato.htm
Dalla voce << CESARE PIARDI: Pezzaze 1936 >> del
“Glossario” - volume 1 "I PIARDI", edito
l'anno 1998, trascriviamo.
CESARE PIARDI: Pezzaze 1936. Figlio di Giovanni detto
Nene (1909 – 1946) dei detti Quarantì,
dei più antichi Piardi detti Bone de Sante o de la
Santa. Presidente, dai primi anni '90, del Comitato del gemellaggio
del Comune di Pezzaze con la comunità di Peschadoires
in Francia. Cesare Sposa Franca Buscio da Pezzaze ed ha due
figli: Giorgio e Paolo. Intelligente aiuto del curatore della
ricerca per le famiglie Piardi di Pezzaze. [I Buscio, cui
appartiene Franca, sono di antichissima stirpe bovegnese e
risultano, in Bovegno ed altrove in Val Trompia, eccellentissimi
notai sin dal secolo XV].
Cesare narra, il 5 dicembre 1997, alla presenza
di Secondo Viotti (Pezzaze, 1916) e di Giacomo Osvaldo
Piardi (Pezzaze, 1938), di alcuni episodi di goliardia giovanile
durante l’impegno di lavoro presso cantieri in provincia
di Cuneo: << Il 4 novembre di un anno si celebra, al
cantiere, la ricorrenza di Santa Barbara patrona dei minatori.
Se voi non andate al paese a festeggiare Santa Barbara, ci
dicono i responsabili, noi vi organizziamo, qui all’interno,
il pranzo e la festa e vi riconosciamo, anche, trentamila
lire ciascuno. Si tratta di molti soldi all’epoca degli
anni ’50 per un operaio. Così che acconsentiamo
accettando la proposta del capo cantiere. Convinti, tuttavia,
che dopo aver festeggiato con pranzo al cantiere, saremmo
comunque usciti. Cosa che abbiamo prontamente fatto, scendendo
poi al sottostante paese di Pietraporzio assieme a tutta la
compagnia. Non sazi, in paese facciamo una seconda festa e
dopo canti e suoni usciamo per strada. Nella suddetta località,
almeno allora, le famiglie tenevano i conigli in stie allineate
sul ciglio della strada. Quella notte mettiamo in atto la
nostra bravata, pensando bene di accordare la libera uscita
ai poveri animali.
Potete immaginare lo scompiglio ed il parapiglia che si sono
succeduti. Infatti i conigli sono immediatamente usciti e
quelli di una stia si sono mescolati con quelli delle attigue
rendendo impossibile il riconoscimento degli stessi da parte
dei legittimi proprietari. Ricordo, come oggi, le strade piene
di erbivori in libertà.
Immediatamente avvisati i carabinieri del posto i festaioli,
maldestri lavoratori, vengono tutti “portati in caserma”.
Siccome tutti noi avevamo piccoli altri 'precedenti', uno
solo (io), Cesare, pensa di farsi avanti convinto di essere
indenne da macchie, per addossarsi le colpe di tutti. “Si,
bravo”, mi viene detto, “tu sei in una situazione
più grave di tutti gli altri dal momento che sei
in regime di buona condotta”. Non ricordavo, infatti,
che a suo tempo a causa di un incidente stradale che mi capitò,
avevo mandato all’ospedale un certo F. assistente edile
in un cantiere della Valle Trompia. Infatti, quando si svolse
il processo per detto incidente, ero assente, trovandomi a
lavorare in Africa già in giovanissima età.
In quel giudizio mi furono, però, comminati, 22 giorni
di prigione e cinque anni di buona condotta. Mi viene, pertanto,
detto, che è meglio che io stia zitto al fine di evitare
di incorrere nella attuale e precedente pena.
La notte è stata trascorsa nella prigione della caserma,
dopo che il sottoscritto fu costretto in un ambiente completamente
innevato a far ritorno, a piedi, al cantiere per recuperare
gli indumenti di cui vestirsi, in allegria, dal momento che
gli osti del posto hanno pensato bene di rifocillarci.
Il mattino seguente torniamo tutti al cantiere convinti di
ottenere le nostre spettanze dal momento che la permanenza
in quel posto doveva forzatamente terminare.
Come, però, temevamo, arriva il direttore del cantiere
che biasima il nostro atteggiamento dicendoci che noi bresciani
verremo scritti con la penna rossa sul libro paga della ditta
Ast.... minacciando di trattenerci la paga. Non si sa perché
ma qualcuno fu preso da bisogni corporali urgenti proprio
in quel momento ed essendo in aperto dissenso con il cantiere
e pronti per la partenza non vi era la possibilità
di rientrare nelle baracche onde... espletarli. Qualcuno dopo
aver predisposto come ha potuto un inidoneo involucro di carta,
dà sfogo alla corporalità… . Non si sa
come ma, il precedente ammonimento, (provocatorio), quasi
ricatto, del direttore ha sortito l’effetto che l’involucro
di giornale con l’indesiderato contenuto arrivasse in
tutta velocità sulla porta dell’ufficio con le
inevitabili conseguenze per il malcapitato direttore del cantiere.
Infatti, gli astanti ebbero a ribadirgli “… e
questo … scrivilo sulla m….”.
Bravata di gioventù che ci è costata doverci
recare a Cuneo città a firmare la nostra giornaliera
presenza davanti i carabinieri. Non solo, non percependo nemmeno
le nostre spettanze. In effetti, però, non eravamo
tanto cattivi dal momento che poi, molti di noi, con la stessa
ditta Ast.... siamo partiti per recarci a lavorare in Libano.
Dopo il Libano io mi sono portato in Svizzera con mia moglie
che già da qualche anno avevo sposato. [N.d.r.:
In territorio elvetico, Cesare subisce in gravissimo
infortunio sul lavoro; per molti mesi è costretto a
letto, immobile, in pericolo di vita prima e, poi, col rischio
di grave totale infermità. Ma, le cure ricevute in
ospedale a Sion, l’assistenza della moglie e della famiglia,
i... controlli della suora infermiera professionale (la quale,
una volta constato il ritorno della vita..., concede il consenso
al trasferimento in Italia), sono tali che il pezzazese di
ferro, si fa per dire, torni alla sua Val Trompia, riprendendo
vita piena e attiva, che tutti gli riconosciamo. Cesare è
e rimane “in politica attiva e fattiva” sino all’anno
2008 e solo quale componente di Commissione comunale anche
successivamente].
In una di queste sere di libera uscita svizzera, sulla strada
dell’andata, adocchiamo riposto in un angolo di una
casa un carretto di quelli ben decorati sulla parte degli
spondini.
A me viene da ripetere ad alta voce una riflessione: questa
sera il mezzo di trasporto per il ritorno l’abbiamo
trovato. Infatti, aggiungo, guarda quel carretto, poniamo
qualcuno “ghearcc” (di robusta corporatura) sul
davanti, alle stanghe, e poi “filom” (ce ne scendiamo,
tutti sul carretto) senza fatica. Da notare che la strada
era a tornanti e in forte discesa. Finita la festa, all’uscita
dell’osteria, qualche ora più tardi, mettiamo
in atto il disegno prima pensato. Tino, uno di noi, dice:
“dai, dai, a stanghe” mi metto io col Gris e ‘l
Ciudì, voialtri salite sopra. Ol Meil dice: io sto
dietro, a terra, per trattenere il carretto.
Senonché, quando siamo arrivati sul primo tornante
il carretto, per la velocità, se ne è andato
dove ha voluto e tutti i trasportati hanno pensato bene di
saltare prontamente a terra rotolando, fortunatamente nella
neve che copriva il ciglio stradale, pataplin pataplan, il
carretto è rovinato giù per i tornanti e la
scarpata, noi, fortunatamente ce la siamo cavata con qualche
ammaccatura.
Successivamente i proprietari sono venuti a rintracciarci
e abbiamo “asciugato” il danno risarcendoli del
valore del carretto.
In questa località svizzera, ‘l poer Pierino
M. (il povero Pierino M.) aveva fatto la morosa mentre io,
come detto, ero già sposato.
(N.d.r.: Cesare, continuando e narrando in prima persona,
ricorda un’altra bravata, questa volta a solo suo danno,
compiuta in territorio Svizzero. Non si può dire, certamente,
anche se di montagna, fossero ragazzi addormentati).
Una sera, siccome io sostenevo da tempo di avere un
paio di pantaloni impermeabili da sciatore con relativa giacca
a vento, attraverso i quali <‘l pasaa det gna l’aiva>
(... impermeabili a tal punto da non lasciar passare per nulla
l’acqua), a mezzanotte in questo paesino, camminando,
passammo vicino ad una fontana.
I miei compagni di lavoro memori di quanto avevo sostenuto,
mi si avvicinano stretti, in particolare Tino e ‘l poer
…, mentre cantavo, e rivolgendomi la parola mi dicono
provocatoriamente: “ah, la tò tuta l’è
… ?” e senza che mi rendessi conto, presomi, mi
hanno gettato nella vasca di quella fontana incuranti del
freddo sotto zero del momento. Forse smisi di decantare le
particolarità dei miei indumenti.
Eravamo giovani… e non ti pigliavi nemmeno un raffreddore,
“poarecc ma en ghia botep pötei!”.
“Alura, a chei tep che naa e egner de che a là
l’era ‘l Mociöla, l’era lü ‘l
nos autista”.
Molti altri sarebbero i ricordi da raccontare ma voglio concludere
con un ultimo episodio di quella volta in cui in provincia
di Torino, per scommessa con il Mociöla (Bontacchio)
il quale mi aveva promesso un “disnà”,
pranzo, gratis, così che sono entrato in un ristorante
in mutande vincendo la scommessa sotto gli occhi strabiliati
del proponente la scommessa e degli astanti avventori del
locale. Ghìem botep a na là, èn gir,
col Mociöla! (Traduzione: Avevamo buon tempo a
viaggiare, andare in giro, con il detto Mociöla!).
Secondo Viotti (Pezzaze,1916), uno degli attenti ascoltatori
dei racconti di Cesare ‘Cesarino’, terminato l’ascolto
esordisce: << ‘l someaa mia, ma ‘l na combinaa
… ‘l Mociöla e l’era, a quei tep, de
compagnia >>. (Traduzione: Non sembrava, ma ne combinava... il
detto Mociöla ed era, in quei tempi, pure di compagnia).
Pezzaze, il 5 dicembre 1997, in casa di “Secondo”
Angelo Viotti. (Dalla voce << CESARE PIARDI:
Pezzaze 1936 >> del “Glossario” - volume
1 "I PIARDI", edito l'anno 1998).
[Testo rivisitato da Achille Giovanni Piardi,
il mese di Maggio 2010, per le pagine web del sito www.piardi.org
“I PIARDI”].
Dalla Voce << CESARE PIARDI:
Pezzaze 1936 >> del “Glossario”
- volume 2 - "I PIARDI", edito l'anno 2000, trascriviamo.
Cesare Piardi, oggi 13 febbraio 1999, (alla
presenza di Giacomo Osvaldo Piardi nato a Pezzaze nel 1938,
http://www.piardi.org/persone/p71.htm
, parenti ed amici, anche avversari politici) racconta:
“” Quando i miei genitori muoiono, 1946, sono
ancora piccolo così vado a vivere con i miei nonni.
Sto con loro per un po’ di tempo, il nonno muore nel
1951.
Poi, sento il bisogno di guadagnare e di rendermi autonomo,
penso di viaggiare ed espatriare in cerca di lavoro. Sento
parlare dell’apertura di un grande cantiere italiano
per la costruzione in Africa, a Kariba, di una diga. (Ndr.:
sul fiume Zambesi una impresa italiana vi ha costruito nel
1955/59 una diga alta 126 metri e lunga 580, su cui corre
una strada che unisce la Rhodesia allo Zambia. Nel 1957, a
Gussago, la maestra di Achille Piardi, colui che ora trascrive
queste note, parla alla classe di questo lavoro, impegno dell’ingegno
italiano).
Parto, dunque, per Kariba, il cantiere di lavoro africano.
Arrivato al cantiere mi affidano subito, nonostante avessi
solo venti anni, un compito di responsabilità. Ho detto
cantiere ma si tratta di una vera e propria città che
dovevo mantenere pulita e, altro compito mio, occuparmi di
ammobiliare le case che gli italiani in arrivo, con le loro
famiglie, andavano ad occupare. Mi veniva fornito l’elenco
delle famiglie e la composizione di ciascuna di esse col grado
di parentela dei componenti e se maschio o femmina. Mi occupavo
pure della consegna delle stoviglie individuali e di quant’altro
necessitasse per la vita di ogni giorno a partire dalla biancheria
da letto sino ad arrivare alle tendine da porre alle finestre
di casa. Non lavoravo ad ore: terminavo la giornata quando
avevo ultimate le incombenze.
La domenica portavo i ragazzi o gli scolari alla missione
di Guelo (?). Li caricavo sull’autobus, erano tanti:
italiani, portoghesi, francesi, tedeschi, ecc., e badavo che
non litigassero tra di loro.
Dopo un po’ di tempo, “na matina ‘l mè
saltàt ‘l ticchio è o dit: me no a cà”.
Devo dire che a quei tempi ed alla mia giovane età
trovarsi dei bei soldi in tasca, che avevo percepito durante
il servizio, ero assai invogliato a tornare a Pezzaze, “…
a cà, a fa do cantade sensa düsì depender
dè …, perché po’ a la fi ‘n
naa a la Ferromin per ciapà” 19/20 mila lire
al mese, certo il paragone con l’Africa non reggeva
dal momento che “là zo tè ciapàet
150.000 lire ogni mes!”.
Rimpatrio. Stavo già con Franca da fidanzati, potremmo
sposarci, lo dico ai miei. A febbraio, poco dopo il ritorno,
mi sposo. Dopo qualche tempo di fermo lavorativo, “…
i solcc i se fenes”. Da coniugi siamo andati a Sondrio,
in Val Malenco e lassù troviamo Piardi Angelo dei Brine
noto come Becalöm, ol Tobia Maffina (Maia om), ol Modesto,
ol Dante dol Tico, ol Malio Facchini, e ol me chignàt
ol Giacomino. Na bèla squadra! Ol Maia om lìa
gnit ‘n sö come ‘pacherista’ ‘l
faa ‘l ruspista, a chi tep ‘n ghè didia
‘l pacherista a chi chè cargaa ‘l material
co la ruspa dopo chè te finìt dè sparà
le cariche. Le qualifiche mè sè a daa noter,
ma dè qualifiche ghè nia miga …”.
Il capo cantiere, un giorno, visto che non ci distribuivamo
i compiti tra di noi, ci pensò lui. Rimaniamo sul posto
circa un anno.
Quando veniamo a sapere che in provincia di Cuneo a Pietraporzio
lavoravano dei nostri compaesani, ci licenziamo dal cantiere
della Val Malenco per unirci ai pezzazesi di Pietraporzio,
in Valle Stura di Demonte; una squadra, credo, di circa ventitre
di tutti noi. Potete pensare a questa brigata allegra …
la sera nel percorso di ritorno al cantiere dopo la divertita
trascorsa in paese. (Vedi Cesare Piardi – Vol. I).
Tornati a casa pensiamo di andare in Libano (come ho già
avuto modo di raccontare in un altro momento), anche se mia
moglie avrebbe voluto portarsi in Svizzera. La scelta cade
sul Libano e per essere ammessi ci dobbiamo recare per la
visita medico – attitudinale a Malles Venosta (Alto
Adige), cosa che facciamo prontamente desiderosi com’eravamo
di giugnere in Libano, al più presto (come ho raccontato
di già). Abbiamo un biglietto ferroviario cumulativo
per la località della Val Venosta ed a Trento, passata
la visita, durante il viaggio di ritorno succede un episodio
a dir poco da prima pagina di giornale e, … qualche
giorno di cella.
Ecco l’accaduto al binario ferroviario di Trento: “...al
binare pronti per parter ghia ‘l Mario del Lazanicio,
‘l Sòca, me, ‘l Chinchì, ‘l
Piat dol Bes (Richiedei) fat sö ‘n po’ a
la sò maniera … anche se un buon ragasso. I oter
iera fò amò a beèr al bar dè la
stassiù; ‘l treno l’è asègn
dè parter! Alura ghè dighe a …: ‘ando
ròbega la palèta al capostassiù, sé
‘l ga mia la palèta ‘l pöl mia fa
parter ‘l treno’, ‘n tat me no a ciamà
‘l Sòca … e i oter chè i vègne
pèr parter. E lü … ‘l salta do del
treno, ghè le ‘l capostassiù co la palèta
pronta, tirega bià la palèta e po’ scapa,
e me fò dè le a na a ciamà i oter …;
am rientra töcc! Lü … ‘n da scunfusiù
sbat bia la palèta”.
Il Capostazione e la polizia ferroviaria non si capacitano
dell’accaduto da noi messo in atto solo per evitare
che gli amici rimanessero a Trento. La sostanza è che
nella confusione avviene il momentaneo blocco del treno a
noi tornato utile. La verità di fondo è che
possedevamo un unico biglietto cumulativo. Così anche
i ritardatari del bar partono con noi, legati dal biglietto
di viaggio.
A quei tempi ne combinavamo … e nell’epoca stessa
andava di moda l’aperitivo Punt e mès da noi
qui detto “punt èn mès”. Poco dopo
partiamo per il Libano in un momento duro, pericoloso, infatti,
già si sentiva parlare delle prime scaramucce con frequenti
spari … credo corresse l’anno 1958. Alle cinque
del mattino di quel giorno giungiamo all’aeroporto ma
nessuno della ditta appaltatrice è venuto ad attenderci
con il mezzo per raggiungere il cantiere. “Con no alura
ghia ‘l poer Gri, chè l’è po’
deentat ‘l me cumpar …, chè ‘l ma
est en po’ preocupacc per come ma dè fa a na
‘n città; col dis: ‘”ti calmi chè
me parle ‘n po’ ‘l frances, pènse
me!”, va a parlottare con i tassiti dell’aeroporto
e, d’un tratto, ci invita a salire in fretta sui mezzi
pronti a partire. Due sono i taxi perché eravamo: “me,
‘l poer Gri, ‘l Sòca, ‘l Chinchì
e ‘l Ciül folé dè Pedadöle”.
Arriviamo a Beirut città però < ‘l
Gri > ci avverte che già che ci siamo … ci
fermiamo pure a fare colazione. Va bene, tutti d’accordo
e scegliamo l’albergo Homarkaiam (?, questa la pronuncia),
un hotel con i portieri vestiti come se fossero generali.
La cosa ci insospettisce un po’ e nascono le prime preoccupazioni
che scaturiscono nella domanda, alla nostra ‘guida’:
“set sicür chè ‘n pöl na dè
det èn ste albergo?”, la risposta del poer Gri:
“preocupìf mia voter chè o parlàt
me …!”. Entriamo in una sala, ai piani superiori,
ed incontriamo tutti, dico io, ammiragli o generali ed altri
ufficiali in alta uniforme …; dalle finestre si poteva
godere una bellissima vista del porto, una cosa di lusso mai
vista. Iniziamo a mangiare, ogni ben di Dio e così
ben preparato che … ci venne ancora più fame
ma sempre con la preoccupazione … del conto, ma <
‘l Gri >, ci rassicurava: “sculta, öt
capì chè o parlàt me!”. Terminiamo
la lauta colazione. Portano il conto, raccogliamo tutte le
nostre disponibilità ma non sono abbastanza. Iniziano
le trattative con il cameriere e le prime osservazioni quali:
‘ci sembra un po’ caro!’, giunge perciò
lo chef, voglio dire il maitre, di lingua spagnola che intendeva
l’italiano, il quale esordisce con una domanda: ‘scusate,
chi vi ha detto di venire in questo hotel a mangiare?’.
“Beh, l’ha fat en po’ de interprete ‘l
me compar < ‘l Gri >, e credevamo fosse risolta
la questione. Ci viene posta la domanda: ‘dove lavorate?’,
e noi prontamente: ‘alla ditta Astaldi’. ‘Sarà
meglio chiamare il direttore’, replica lo chef, il quale,
giunto, ritiene di mandare a chiamare un dirigente dell’azienda
responsabile del cantiere dove ci dovevamo recare. La cosa
si risolve pagando con conto a carico della ditta che ci aveva
chiamato in Libano. Dopo poco tempo ci chiama il direttore
dell’Astaldi e ci chiede conto. Spieghiamo l’accaduto.
Lui esordisce: ‘lo sapete che io nonostante sia il direttore
di questa grande azienda, dove voi avete appena iniziato a
lavorare, non mi potrei mai permettere nemmeno di entrare
a far merenda all’Homarkaiam … e voi andate tranquillamente
a pasteggiare in gruppo?’.
Dure e aspre sono state, poi, le peripezie passate per giungere
sul cantiere di lavoro a causa delle sommosse con sparatorie
già in corso nella zona detta Val de la Bekà
(?) ove siamo transitati in arrivo da Beirut. “Ma pasàt
‘l confì de la Siria, ènvece chè
sota la sbara dè frontiera ma scaalcat det dèl
desèrto e i ma sparàt re …, ‘n sé
riacc al cantier e ‘n ghia ‘l sanc al co …!”.
In questo cantiere ci sono stato poco, anche se si prendeva
bene, poiché zona difficile con attentati, pericolosa,
soprattutto per me “chè fae ‘l foghì
isè chè i mè capitaa sö per la polveriera
la not e i vülia la dinamit”. Avevo l’ordine
di non ribellarmi e di dare loro la dinamite che volevano,
ma i più si presentavano ubriachi ed armati col pericolo
che in ogni momento potesse partire un colpo da qualche loro
fucile … in mezzo a tonnellate di esplosivi. La situazione
era pericolosa così che lamentando una malattia di
mia moglie chiesi di ritornare in patria.
Con lei partii, poi, per la Svizzera e ci rimasi circa un
anno facendo ritorno presto al paesello con mia moglie gravida.
Dopo poco tempo riparto per la confederazione Elvetica in
una zona ove sapevo di trovare: “me fradèl ‘l
Franco, ‘l Natal, ‘l Bocia Bröt e oter, töcc
che dè Pedade chè iera là sö”.
Qui subisco un incidente sul lavoro con la frattura di tre
vertebre; rimango fermo, quasi un anno di degenza ospedaliera,
sempre a letto, alimentandomi col biberon.
Tornato in Italia poiché mi ero rimesso bene cerco
un altro lavoro vicino a casa: vengo assunto alla Sia –
Autotrasporti di Brescia, con assegnazione sulle linee della
Val Trompia, e vi rimango per trent’anni.
L’ambiente socio – politico
africano e l’impatto con la costruzione della diga.
Cesare racconta. Rimanere con i lavoratori
di colore e magari soli era alquanto pericoloso. Personalmente
mi trovavo in completo disaccordo con le modalità di
reclutamento di questa mano d’opera locale, tuttavia
vigeva un obbligo contrattuale primario, da noi tutti sottoscritto,
quale quello di ‘non interferire sulla politica del
luogo e di ignorare sistemi e procedure messi in atto …’.
Al punto che non si poteva dare ai locali, per il fabbisogno
delle famiglie, nemmeno gli alimenti di risulta giornaliera
del cantiere, diversamente destinati all’immondezzaio.
Distribuzione che io invece operavo ogni giorno sino a quando
la stessa fu scoperta durante un ‘normale controllo
di polizia’. Ricordo che ai lavoratori neri veniva servito
il pranzo di mezzogiorno su di un pezzo di carta da sacco
di cemento consistente in una ‘palata’ di verza
e di polenta. Ricordiamoci anche di questo passato quando
si parla oggi di questa gente che invade … l’Italia,
“chè i ve ‘n sö töcc che …”,
non dimentichiamoci che: “ ‘n ga maiàt
adòs noter a chè la zet le, ‘n ga dat
dè maià pegio che ai maiali …, regordèt!
”.
Loro stavano bene dove erano, nel loro status, siamo stati
noi civili europei ad andare a reclutarli con la polizia obbligandoli
a lavorare al cantiere. “Lur i staa be ‘n do iera,
‘n sè stai noter a na là e ‘n naa
là co la polizia a reclutai, là en dè
le foreste e ubligai a gni a laorà le ‘n diga
…”.
Percepivano 1,5 scellini al giorno quando a noi europei ne
pagavano 3 ogni ora. Alle loro donne chiamate a compiere servizi
di pulizia negli alloggiamenti degli europei veniva dato un
metro e dieci centimetri di tela per coprirsi dalla vita in
giù … quando poi era sotto i loro occhi il modo
di vestire sfarzoso delle donne del mondo civile … europeo.
Avremo insegnato loro la civiltà, forse, ma a quale
prezzo!
All’epoca ero un ragazzotto “ma me ‘n de
la me mènt ghè smachinae re …” (meditavo
nella mia mente).
Spesso andavo nei loro villaggi, anche quando vi si tenevano
feste o celebrazioni nuziali.
Tornando al controllo di polizia, quel giorno fui colto sul
fatto: avevo dato loro da mangiare di troppo. Colto in flagranza
di reato alle ore una, alle quattro ero già sotto processo,
obbligato al rimpatrio e una multa di cento sterline.
Con l’intervento del capo cantiere che pagò la
multa e la mia promessa giurata innanzi il giudice di non
infrangere il codice regolamentare contrattuale rimango al
cantiere anche se qualche cibaria di troppo, secondo alcuni,
ho continuato a erogarla, convinto della mia idea …
Per chi, come me, abituato a lavorare alla Ferromin giungeva
al cantiere di Kariba rimaneva, per un bel po’ di tempo,
spaesato. Solo le dimensioni della macchina operatrice nota
come Catterpilar dotata di una pala da sei metri di ampiezza
ti lasciava sbalordito, tutto appariva sproporzionato, solo
ai nostri occhi, in realtà era adeguato alla mole del
lavoro ed all’ampiezza dei luoghi in cui stava nascendo
l’immenso manufatto, gran parte lavoro degli italiani.
Ricordo simpaticamente il momento in cui, laggiù, si
sposò ‘l Sòca co la Onesta dè la
Fransischina per procura ed io rappresentavo la sposa (Viotti
con Onesta Richiedei figlia di Franceschina Piardi). Una bella
festa di nozze tra noi di Pezzaze con altri amici, un bel
pranzo tutti uniti in un corale affiatamento.
Ol Sòca fu colui che mandai dalla madre di Francesca,
Giacomina sposata Buscio, “a domandà la me fonna”,
Franca (a chiedere in sposa la mia Franca). Credo di ricordare
avesse detto alla mia futura suocera le seguenti parole: “pota
Giacomina, l’è ü brao pötèl
nè … l’è sempèr nat là
con me, l’è ü brao pütilì’.
L’era simpatic lü, ‘l Sòca”.
“Dè zuegn ‘n sa dièrtìa”,
semplicemente anche con qualche espediente come quel giorno
in cui adocchiamo una gallina spennata posta a frollare appesa
all’imposta di una finestra qui a Pezzaze. L’idea
di realizzare il bottino per far festa fu immediata; bastò
prelevare la pollastra con l’uso di una pertica di quelle
utilizzate per abbacchiare le castagne. Alla festa invitammo
anche il marito della proprietaria del malcapitato pennuto.
Vi fa eco Giacomo Osvaldo Piardi (1938), fino a questo momento
in contemplativo ascolto, che è cosa assai rara:
“A Pezzaze queste bravate erano frequenti come altre
di diversa natura. Infatti, posso dire che mio padre Battista
si sedeva qui fuori, in piazza di Stravignino, sulle pietre
assieme al detto Gioanega e di tanto in tanto si aggregava
anche < ‘l Scürsur >, certo Bregoli Giovanni
(che l’è po’ chèl chè ma
mitìt nom Giacom a dispèt dèl me bubà,
chè ‘l vülia chè ma ciamaès
Osvaldo Giacomo). Così che, qui seduti i due o i tre
le studiavano... per bene! ... come, quella volta, quando
doveva sposarsi la C. ... qui di Pezzaze...
“La gà dè spusas la C., e ‘l Mar...!
Fom la satera! Isé i faa ‘l manifèst.
Ol Gioanì l’era bu dè petürà
en bridinì, ‘l me bubà quac frasi l’era
bu dè trale ‘nsèma … i scriia la
poesia satirica, dopo po’ i la mitia fò söl
mür dè modo chè la zet la leaa sö
la matina e la sè troaa … dè lèder”.
Na olta ghia ‘l Faüstì istìt dè
pret chè ‘l spusaa la Laora (perché, Faüstì,
l’ia riàt ormai a la teologia e ‘l ghera
‘mpiantàt le dè stüdià dè
pret …).
Ma anche la scritta pubblicitaria ‘frutta e verdura’
del negozio della detta ‘la ciauna’, che aveva
bottega qui in piazza di Stravignino, con un lavoro notturno
dei suddetti duo o tre, una bella mattina apparve nel seguente
modo: “brutta e verduna” (...brutta e verdona).
Questi erano i divertimenti di paese nei quali ci si dilettava,
sfruttando alcune piccole capacità individuali, conclude
Giacomo Osvaldo Piardi intervenuto, quasi, a dar manforte
a Cesarino.
Cesare riprende, aggiungendo altre tessere
nel mosaico della sua vita:
“Dopo un po’ di lavoro alla Sia - Soc. Ital. Autotrasporti,
nel 1964 mi propongono di entrare in lista per le imminenti
votazioni. A quel tempo vi era tra i partiti il neo costituito
PSIUP, entro anch’io e formiamo la lista di soli cinque
elementi. Lo PSIUP qui a Pezzaze è in antitesi a quello
della DC, non vi era il PCI. Il risultato delle urne mi assegna
il primo posto, al secondo l’amico detto Tremendo, al
terzo < ol Berto de la Gegola, al quarto ‘l Bepì,
al quinto ‘l Cioda >; da quel momento inizia il mio
impegno politico, dal 1964 al 1985, sempre dalla parte della
minoranza pur dandoci da fare ugualmente per la vita della
comunità.
“Amici – nemici”, replica a suffragio Giacomo
Osvaldo Piardi, “l’inimicizia era data, forse,
dalla ideologia ma le preoccupazioni per il bene comune del
paese erano condivise sia dalla maggioranza quanto dalle forze
di opposizione. Potremmo dire che le deliberazioni comunali
venivano adottate all’unanimità di consensi di
tutti i consiglieri soprattutto quando potevano eventuali
dissensi precludere l’assegnazione alla comunità
pezzazese di finanziamenti necessari per l’esecuzione
di opere pubbliche”; (...tanto necessarie quanto impossibili
alle casse comunali).
Ancora Cesare:
Nel 1970 viene a mancare l’acqua nell’acquedotto
comunale a causa delle forti perdite lungo il tragitto interrato.
Non vi sono fondi comunali per procedere con i lavori. D’accordo
un po’ tutti, chiedo al sindaco di comperare solamente
i tubi necessari che (io) noi cittadini troveremo gli uomini
e le volontà per fare l’acquedotto alternativo.
Partiamo con i lavori da una sorgiva situata a monte della
vecchia miniera detta Regina. Tanto era l’entusiasmo
che col lavoro di due sabato e due domeniche realizziamo l’acquedotto
portando acqua al bacino centrale. Già nel corso della
seconda domenica di lavoro giunge nuovamente l’acqua
nelle case.
Durante i lavori prefestivi e festivi i volontari venivano
rifocillati, come al solito, da Rita, figlia di Maria Piardi
dei Mafé e da Ivan Piardi dei Late, cugino e cognato
di Rita.
(Per Rita Arnaldina Ferraglio - Bontacchio
vedi http://www.piardi.org/persone/p23.htm ).
Così come nel 1972 di (mia) nostra iniziativa con i
miei ed i materiali forniti dal sindaco abbiamo rifatto il
calcestruzzo del fondo stradale che va al Monte di Mondaro
nel tratto a partire da casa mia, inizio di via Romana, per
circa un chilometro, sino al Santèl dèl Prèder
(al tempo unica via di accesso all’insediamento ubicato
al Monte di Mondaro). E’ stato un bel, lungo, momento
di produttive iniziative spontanee: “ ma ‘l set
mia chè bèl folé la fèsta quant
tèi vidièt a fa sö botöm töcc
‘nsèma …! Töcc ‘n disèntìa,
‘n usaa, ‘n defindìa chi Andreoti (‘l
ghè po’ sèmpèr stàt …),
chi Togliatti e Berlinguer, ma la strada se la faa …
chèsto l’ia ‘l bèl! ”.
(...ma non sai che bello, lì in quel luogo, la domenica
quando li vedevi ad impastare il calcestruzzo, tutti insieme...!
Tutti dissentivamo, gridavamo, difendevano chi Andreotti (...vi
è poi sempre stato questi...), chi Togliatti e Berlinguer,
ma la strada la si costruiva... questo era il bello!).
A quei tempi durante le riunioni, anche di partito, si discuteva
e le stesse erano partecipate; “ora: ta èdèt
piö niènt! So mia sè ‘n sè
mia stacc bu noter dè tignii i fiöi, i duegn,
so mia, ma l’è triste! …
A chi tep là ‘n disèntia per robàs
‘n voto durante lo spoglio delle schede, co l’Osvaldo,
alura l’Osvaldo l’ia ‘l nemico acerrimo
dè noter de la sinistra … se, lü l’ia
ü demoscristiano confessionale …”.
Osvaldo Piardi, interrompendo l’ascolto, interviene
e afferma:
“La macia piö bèla l’è stada,
crède circa 35 agn fa”, un giorno che nevicava
e già vi era uno strato di dieci centimetri, vado a
Mondaro partendo da Stravignino per far visita ad alcuni parenti.
Io Segretario politico della DC, mentre un mio cugino è
Segretario del PCI, Bregoli Angelo detto Tremendo.
Anche lui diretto a visitare parenti dimoranti in questa frazione
di Stravignino. Destinati perciò ad incontrarci.
Giunto che fui sul sommitare della discesa che porta al ponte
di Mondaro, vedo, in lieve lontananza, Angelo detto Tremendo
che sta passando sul ponte diretto verso di me e ogni tanto
“ol mola ‘n tera ‘n biglitì”,
ovviamente di propaganda elettorale per il PCI, altrettanta
iniziativa io stavo compiendo a favore della DC. Si trattava
del cosiddetto gioco delle preferenze. Ambedue gli sguardi
si incontrano ma imperterriti ognuno continua la propria ‘missione
di propaganda. A metà della discesa ci incontriamo
fisicamente e ricordando l’uno all’altro che eravamo
oltre i limiti temporali di propaganda corre subito la frase:
ti denuncio, ti denuncio!
In realtà ci siamo poi abbracciati … nella trasgressione!”.
Cesarino conclude:
“Bello è ricordare come durante le libere affissioni
politico – elettorali qui a Pezzaze tutti gli attacchini
usassero la portentosa colla del Cesarino (che sarei io),
così che i manifesti della DC si reggevano con la stessa
colla di quelli del PSIUP affissi contemporaneamente! “”.
(Dalla voce << CESARE PIARDI: Pezzaze 1936 >> del
“Glossario” - volume 2 - "I PIARDI",
edito l'anno 2000).
[Testo rivisitato da Achille Giovanni Piardi, il mese di Maggio
2010, per le pagine web del sito www.piardi.org “I PIARDI”,
allestendo la pagina dedicata, in “Personaggi”,
a Cesare “Cesarino” Piardi]
Vedi in DIMORE DEI PIARDI nel tempo. Nella foto del
giugno 2000 al Rifugio PIARDI, Cesare (1936) porta il
cappello estivo. http://www.piardi.org/vol3/volume3dimore.htm
"Secondo" Angelo Viotti (Pezzaze, 1916 - 2005) e
Cesare Enrico Piardi al Rifugio 'Piardi'; Colle di San Zeno
il 20.6.2000. "Secondo", colonna portante della
"Ricerca sul casato Piardi" sin dal 1997 e Cesarino,
Presidente del Comitato "I PIARDI", in un attimo
di sosta, dopo appena 15 giorni dal 1° Raduno Giubilare
universale del Casato, innanzi il Rifugio Piardi, idea e opera
di Giovan Maria Piardi "Il Grillo" dei Brine nel
corso dei primi anni Trenta del Novecento.
(Rifugio PIARDI: per un po' di storia del GRILLO, ideatore
e costruttore del Rifugio, al Colle di San Zeno, vedi http://www.piardi.org/persone/p51.htm
ed anche http://www.piardi.org/vol3/volume3dimore.htm )
Per ulteriori notizie sull'antica, estesa, famiglia da cui
discende CESARE (1936) vedi:
Spirito Bono PIARDI dei detti "Quarantì"
(...) http://www.piardi.org/persone/p33.htm
VEDI anche, sempre per CESARE “Cesarino” :
- www.piardi.org/incontri_rodengo.htm
- www.piardi.org/vol3/volume3mestieri.htm
- www.piardi.org/comitato.htm
- www.piardi.org/incontri.htm
- www.piardi.org/persone/p71.htm
- www.piardi.org/luoghi/pezzaze.htm
- www.piardi.org/persone/p71.htm
- www.piardi.org/persone/p33.htm
-
www.piardi.org/FN/CIZZOLO2005.pdf
- www.piardi.org/pdf/CIZZOLO2005.pdf
- www.piardi.org/incontri_cizzolo.htm
VEDI pure VOL3
> MESTIERI per:
Cesarino Piardi (Pezzaze, 1936), primo a sinistra, figlio
di Giovanni "Nene" dei detti Quarantì, degli
antichi Bone de Sante; ragazzo in miniera alla "Stese",
nei primi anni Cinquanta. Cesare è Presidente dei PIARDI
sin dal 1° Maggio 1999. Alle Stese, località posta
all'ingresso di Stravignino dopo aver superato Pezzazole,
vivono dall'inizio dell'Ottocento alcune famiglie Piardi pezzazesi.
Gruppo di minatori pezzazesi durante una pausa di lavoro in
VAL MALENCO, anni '50.
La fotografia ritrae Tobia Maffina, Davide Toninelli (Dante),
ed in basso: Cesare Piardi (1936) figlio di Giovanni "Nene"
dei detti Quarantì; Angelo Albino Piardi, detto Angilì
Becalöm, della famiglia dei detti Brine (poi, dal 1993,
grande benefattore, con la moglie Diaregina Piardi del "Grillo",
della Casa di riposo di Pezzaze "Angelo Bregoli").
Al nostro Cesare PIARDI, Presidente
del Comitato “I PIARDI”, dedichiamo questo racconto.
1811. Valtrompia. << “L’òm de la
löm”. In quest’anno Cesare Arici,
poeta bresciano, riferisce di aver appreso da alcuni informatori,
in Valtrompia, racconti di “certe miracolose apparizioni
di spiriti e di cattivi geni”, che, a volte, disturbavano
i minatori o li sottopone a “tristi burle”. “Questi
spiriti (che altro non sono – spiega l’Arici –
che le “muffette” o vaporose esalazioni, o gli
scrolli fortuiti delle cave) mi furono dipinti per tanti spettri
con larghissimi cappelli neri rabbassati, con lunga barba,
nebbiosi e bagnati in faccia, e con grandi lanternoni chiusi
sotto il tabarro, i quali, entrando sottoterra, attossicano
co’ loro fiati i lavoratori, conducono in fallo le ricerche
dei filoni e franando alcuna volta le arcate della miniera,
sepelliscon vivi i lavoratori”. (...). (...) >>.
Da ““L’òm de la löm””,
di G. Raza , ‘Ricordi dello zio Gino Zanetti’
in La via del ferro e delle miniere. Comunità Montana
di Val Trompia, anno 2002. Stampa Tip. Euroteam in Nuvolera.
[A cura di Achille Giovanni Piardi, il mese di Maggio 2010,
per le pagine web del sito www.piardi.org “I PIARDI”,
allestendo la pagina dedicata, in “Personaggi”,
a Cesare “Cesare Cesarino'' Piardi].
SANTINA FACCHINI e GIOVANNI PIARDI (1844)
fu Giacomo (dei Bone de Sante);
i coniugi sono i bisnonni di Cesare Piardi (1936)
- Presidente de I PIARDI NEL MONDO.
Vedi anche ai link:
- CESARE PIARDI del 1936 - Presidente de
I PIARDI NEL MONDO
- SPIRITO BONO PIARDI, per la genealogia
della famiglia a datare dal 1844
Coniugi Giovanni (1882), figlio di Giovanni Piardi (1844),
con Caterina Vallana, nonni di Cesare
Coniugi Faustina Bregoli e Giovanni Piardi (1909) negli anni
'30, genitori di Cesare
Cesare Piardi (1936) con i genitori Giovanni (detto Nene)
del 1909 e Faustina Bregoli
Cesare (1936) e compagni, anni '50. Pezzaze.
Giovanni Piardi (1909) "Quarantì", Sergente degli Alpini,
anno 1930; padre di Cesare (1936)
Cesare Piardi 58 anni di matrimonio, 7.2.2016
Pezzaze, 20 marzo 2004. (Edmondo Bertussi.
Giornale Bresciaoggi
Discorso dell'Assessore Municipale CESARE
PIARDI tenuto il 20 marzo 2004
Museo del minatore in Pezzaze.
Qui
in formato PDF il testo del discorso
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