Francesco Piardi
Francesco Piardi
Gussago (Classe 1911). Figlio di Achille Domenico
(1880) e di Angela Camilla Ghedi. Contadino assieme ai fratelli;
carrettiere e cavatore di ghiaia al "Medol" e dal torrente
"la canale" per il manto delle strade comunali di Gussago,
precario ortolano ambulante, lavoratore stagionale durante
la distillazione delle vinacce (Distilleria Gozio dei "Bernardei"
in località Manica).
Dal 1926 al '31 lavora alla costruzione del campanile della
parrocchiale di Santa Maria Assunta in Gussago portando ghiaia
e pietre col proprio carretto. Si sposa a 35 anni il 2 febbraio
1946, giorno della candelora con Teresa Arici (vedi). Per
il vestito di nozze si reca dal Gozio dell'albergo patria
alla Palazzina di Gussago. Nota infatti era la fama di bravura
di detto sarto per gli abiti da sposi. Vedi anche alla voce
Pavoni in I PIARDi Vol. I e II Alpino del VI Reggimento, Battaglione
Valchiese, combattente, ferito in guerra nel 1941 durante
l'attacco al monte Gurj j Topit in Albania, che gli causa
la mutilazione permanente alla mano destra.
E', infatti, mutilato e invalido per fatti di guerra, decorato
di Croce al merito di guerra. Autorizzato a fregiarsi dello
speciale distintivo d'onore. Francesco lavora da giovane il
campo a Pomaro di proprietà di "Nusèn", Zanotti Innocenzo.
Essendo autorizzato all'uso in conto proprio e per conto terzi
dell'attività di trasporto, per mezzo di un carretto, trainato
da soma, era soggetto al pagamento della dovuta tassa ma,
ci fu un momento in cui si trovò in condizioni di non poter
assolvere a detto obbligo, a causa del fatto che il Comune,
che stava provvedendo al pignoramento, era esso stesso debitore
nei confronti di Francesco per l'attività di trasporto sabbia
sulle strade comunali. Ciò coincise anche con la perdita in
due tempi successivi delle bestie da soma utilizzate. Vende
il carretto che aveva usato come ortolano alla signora nota
come Frina. Dipendente della Camera di Commercio di Brescia
dal 1956 al '69.
In questo periodo è sindaco di Gussago Nicola Ghidinelli.
Capogruppo degli alpini di Gussago dal 1964 al '69. Cacciatore
ed esperto segugista, infatti, molti suoi esemplari di segugio
vincono, più volte, il primo premio alla "Fiera della caccia"
di Gussago negli anni '60. Anche durante l'impiego presso
la Camera di Commercio continua a coltivare prima il vigneto
del "Ruc de la fontana" a Navezze di proprietà della nota
famiglia Peracchia di Gussago e poi del vigneto collinare,
proprietà Squassina, al limitare del bosco sotto il Pian di
S. Martino a Navezze, ora zona di via Brodolini. Pur trovandosi
solo saltuariamente alle dipendenze, manda alla scuola elementare
i suoi tre figli senza mai usufruire dell'assistenza da parte
del "Patronato" (Ente assistenziale).
La sua più grande aspirazione è il possedere una casa propria
per la sua famiglia alla ricerca di più ampi spazi; infatti,
nel 1963, prima di comprare l'area edificabile nella ex Breda
Arici crede di poter comprare od almeno affittare l'originaria
casa Piardi appartenuta al capostipite Andrea ubicata nella
zona di via Stretta nei pressi del luogo ove poi riuscirà
a costruire la nuova casa abitata successivamente dalla sposa
e dai figli. Francesco, dotato di carattere brillante è rispettoso
degli altri ad iniziare dal saluto, è, infatti, sempre il
primo a salutare chiunque avesse occasione di incontrare senza
pretendere che l'altro rispondesse. Nelle molteplici attività
da lui svolte ricordiamo quella di ortolano ambulante in cui
vendeva la merce alle casalinghe sulla fiducia annotando gli
importi non pagati su dei bigliettini ".. a futura memoria".
Fu, infatti, così, smise la professione ancora negli anni
cinquanta, conservando i biglietti con le annotazioni nel
suo portafoglio personale sino al 1969, consegnandoli alla
moglie soltanto il giorno prima di morire con la precisazione:
".. a questo punto gettali sul fuoco perché ormai non saranno
più pagati". Lavora anche alla M.I.D.A. (Manifattura Italiana
Di Armi). In quanto cacciatore è amico dei segugisti: Giulio
Turati del Mulinas di Castegnato, Gianni Marchetti (Giana),
Pietro Forlini ed anche di Nardo (Bernardo) Uberti. Lo seguono
nella coltivazione dei campi ed il governo delle colture la
moglie e i figli, Rosangela in particolare, con Bruno. Uno
dei tanti insegnamenti costanti nella sua vita è stato anche
questo: "Ricurdìf che la boca dervìla bé o dervìla mal èl
costa tat istès"; per dire che il linguaggio di ciascuno di
noi nei confronti del prossimo deve essere sempre improntato
alla cordialità ed al massimo rispetto, oltretutto comporta
lo stesso costo. Dalla famiglia, precisamente da Rosangela,
figlioccia di battesimo nel febbraio 1947 di Luigi Panzera
da Brescia, registriamo la seguente testimonianza: <>
Alla sua morte i colleghi lavoratori della Camera di Commercio
di Brescia nel 1969, al fine di ricordare in perpetuo il legame
di lavoro e di amicizia con lui, chiedono all'amministrazione
dell'Ospedale Casa di Riposo Opera Pia Paolo Richiedei di
Gussago l'intitolazione a suo nome, ottenendola, di un letto
di degenza dell'ospedale stesso. Infatti, nel reparto Geriatria
al secondo piano di detto nosocomio si riscontra l'intitolazione:
"Francesco Piardi". Per la vita di Francesco vedi anche "Reboldi"
e "Reboldi Angelo (figlio) detto Boldi" suo cugino. Boldi
è, infatti, figlio di Brigida Piardi sorella di Achille Domenico
padre di Francesco. (vedi anche alla voce "Gheesana" e "Sampèyre").
Le case Reboldi e l'antica casa di Achille Domenico Piardi
sono tuttora confinanti e fino a qualche anno fa, anni ottanta,
le collegava anche il canale irriguo detto "Serioletta", ora
deviato. La Serioletta, infatti, era "linfa vitale" per entrambe
le famiglie dal momento che alimentava per i Reboldi (vedi)
il mulino ad acqua utilizzato dall'intera contrada di Navezze
e per i Piardi alimentava la fontana a più zampilli in stile
quattrocentesco del cortile ed irrigava l'attiguo brolo confinante
con il torrente La Canale in zona detta del Mincio. Francesco,
dotato di carattere allegro, gioviale con tutti, lo era anche
quando le cose in casa non andavano troppo bene. Infatti,
soleva dire: "coi oter bisogna eser semper contecc, lur i
na mia culpa se en cusina le robe le ha mia bè".
Achille, suo figlio, che da lui è stato "battuto" una sola
volta con la correggia dei pantaloni, ben ricorda la serietà
quanto la schiettezza di cui era dotato il padre, nonché la
sua bontà; "gherem, però, dè dà sentur e dè rispetà i oter".
Vedi anche alle voci Marchina e Maria Marietta Piardi. Per
i suoi figli vedi anche alla voci Greotti e Torchio. Vedi
anche Gheesana. Bice, figlia di Leone Scolari, incontrata
casualmente sull'autobus il 18 maggio 1998 dal curatore, inizia
a conversare precisando che lei è di Gussago, anche se è emigrata
a Padergnone da trentatre anni e dice: "Sono stata con mio
padre e tutta la nostra famiglia di dodici fratelli, nella
casa della Peracchia. L'ha conosciuta lei la Peracchia?" -
Ovviamente il curatore risponde: "Chi non ha conosciuto la
maestra Camilla. Io sono un Piardi e mio padre ha lavorato
i poderi della maestra, quelli situati al Ruc de la Fontana
a Navezze". Bice replica: "Allora l'è el fiol de Ceco Piardi!
Mi ricordo bene quando Francesco veniva alla casa Peracchia
a portare i cestini con le primizie negli anni cinquanta.
Io vedevo e osservavo l'andirivieni dei fittavoli perché mio
padre era il fattore della casa Peracchia, el faa a 'n po
dè sensal. Me lo ricordo proprio molto bene Francesco! E,
poi, come posso non ricordare della sua famiglia, anche la
bella figura esemplare di Marianna, oltretutto lavoratrice
alla Breda con i miei familiari! Sono tanti anni che sono
via da Gussago ma mi ricordo tutto molto bene. Voglio anche
dirle che io ho poi vissuto in casa Zorzi e ricordo bene sia
Santino quanto suo cugino Ezio che ho addirittura tenuto in
braccio sin da quando era neonato, ora, lo so, è vicesindaco
a Rodengo Saiano, comune dove io vivo". Achille annuisce e
precisa che Ezio è suo amico d'infanzia e che conosce bene
molte persone della frazione Padergnone in cui lei vive, a
cominciare dagli Abeni, Loda e che era amico di gioventù di
Padre Italo Gaudenzi. Bice si congeda raccomandando ad Achille
di portare i suoi saluti alla mamma Teresa che bene ricorda.
Da 'I PIARDI' - Vol. I e II.
Francesco Piardi, cavatore
di ghiaia e di pietre, carrettiere e ortolano.
Carèt (carretto) è il tipico
carro da cascina a sponde alte e a due ruote aperto alle estremità,
trainato da animali. Anche Francesco Piardi (Gussago, 1911)
a Navezze di Gussago ne possedeva uno. Inizialmente quale
carrettiere, anche per conto terzi, lo utilizzava per trasporto
di fogliame (patöss) da strame (patöss de fa lèt),
poi per trasferire, dal torrente La Canale, sabbia e ghiaia
sulle strade comunali da ghiaiare, per conto del Comune, colmandone
gli avvallamenti dovuti all’uso od alle intemperie,
estive o invernali. Negli anni 1930 e ’31 per trasportare,
dal medolo di Navezze sino alla piazza del centro, pietre
da utilizzare per la costruzione della torre campanaria di
S. Maria Assunta, inaugurata nell’estate del 1931, durante
il Parrocchiato di Mons. Giorgio Bazzani.
Più tardi, dalla fine degli anni quaranta sino al 1955,
con il carretto Francesco “Ortolano” (fruttivendolo)
andava proponendo alle massaie di Gussago, di casa in casa,
frutta e verdura per preparare il pranzo e la cena.
carretto in uso a Gussago ed in Valttrompia, sino agli anni
Settanta del Novecento
Francesco condusse per un certo tempo, anche
con altri, il carretto detto più correttamente Bàra:
carro massiccio a due ruote, a sponde alte e trainato da quadrupedi
in doppia coppia di tiro. Questo carretto massiccio veniva
impiegato per lunghi percorsi e per carichi anche molto pesanti
come il trasporto di lunghi ed interi tronchi o collocandovi
sino a tre o, addirittura, quattro botti piene di vino. Più
botti aveva il carico meno gravava il costo del trasporto
(Alloggio, vitto e stallo) sul prodotto venduto. A Brescia,
stabilimento dei “Marone” in zona Sant’Eustacchio,
Francesco andava anche in compagnia di suo cugino Angelo Reboldi,
figlio di Angelo e di Brigida Piardi di Ernesto, e di Celeste
De Peri, tutti di Navezze, quando doveva consegnare tronchi
per i forni.
Marco Peroni “della famiglia Santomolinaro”, noto
come Marco de Sora, nato il 8 Maggio 1907 e vivente oggi 13
di ottobre 2009, sì ben 102 anni e mezzo d’età,
tempo fa mi ricordava che anche Francesco Piardi andò,
più volte, come suo compagno di viaggio in Valcamonica
con la Bara o Barèta carica di vino in botti. Questi
grossi carri erano dotati anche della cosiddetta “Gimbarda”
(posta di traverso sotto il carretto) che serviva per riporvi
un po’ di tutto, teli per coprire gli animali in caso
di maltempo ed anche il bagaglio del carrettiere o arnesi
utili al carrettiere.
Uomini ed animali (uomo ed animale) in stretto accordo e contatto,
viaggiavano insieme anche in viaggi che potevano durare più
giorni, con ogni condizione di tempo e luogo; poche le strade
selciate, le altre, una ragnatela di vie in terra battuta
impegnative da percorrere, quando non fossero anche rischiose.
I carrettieri, assunti conto terzi o loro medesimi proprietari
di carri e di soma, erano messi a capo di trasporti, che avvenivano
tra le valli e la pianura, al fine di scambiare merci.
Facile incontrare carri e carretti pieni di lino, di fieno,
di sabbia, come detto per Francesco, di ceste di bozzoli,
di botti prima di uva e poi di vino, di sacchi pieni di farina,
anche di cereali, soprattutto a fine giugno con frumento ed
a metà ottobre col granoturco (mais). Un via vai di
carretti che ha incantato le nostre strade sino all’inizio
degli anni Settanta del secolo XX, chi diretti ai monti chi
al piano. Così fu per la Valtrompia ed in particolare
per la nostra Pezzaze col carretto condotto da Battista Piardi
“Sgalmer”, notissimo poichè teneva il mulo
sempre col muso all’insù, sempre impennato, non
dandogli mai tregua nel suo sforzo di quadrupede da traino
[...come ben ricordava, ancora nei primi anni del duemila,
Angelo Secondo Viotti (Pezzaze, 1916) - figlio di Angelo detto
“Dize” (Pezzaze, 1861) un tempo Giudice Conciliatore,
indi Consigliere comunale e poi anche Sindaco].
Di notte i carri o corretti erano segnalati solamente da una
semplice lanterna, con fiamma alimentata a petrolio, posta
sul davanti del carro ed appena sotto la “cassetta”
(sedile di legno), non tanto per rischiararne il cammino quanto
per essere individuati e scorti, da lontano, da altri mezzi
in movimento.
I carrettieri per alleggerire il carico viaggiavano a piedi,
solo durante il tragitto di ritorno, forse, sedevano sul fondo
del carretto, rivolti verso il centro strada ed in corrispondenza
del cassetto attrezzi, conservando le gambe a penzoloni...
pronti a sbalzare dal mezzo per qualunque necessità
od evenienza od anche solo per una momentanea sosta quando
l’animale necessitasse abbeverarsi, ad una fontana pubblica
o ad appositi abbeveratoi che non mancavano mai durante il
cammino. Il conducente quasi mai sedeva in “cassetta”.
bilancia "Stadera" usata da Franesco Piardi, quale
ortolano
Mestiere duro era quello del Carrettiere:
guidare il carretto, custodire e governale l’animale,
preservare il carico dal pericolo di rovesci o dai ladri.
Durante le soste gli animali venivano legati, per mezzo delle
redini unite alla cavezza, ai vistosi anelli fissati, in linea,
ai muri. In queste soste i carrettieri, portandosi in spalla
il loro frustino (la scuria o scurgiada) dal quale non si
separavano mai (Vi era qualcuno particolarmente bravo a far
schioccare la frusta e per questo si contraddistingueva da
altri, quasi suonavano una musica..., oltre che essere utilissima
per guidare gli animali alle stanghe del carretto), si trattenevano
nelle tipiche osterie con cucina per un fugace pranzo: una
semplice scodella di trippa con l’aggiunta di un pane
ed un buon bicchiere di vino rosso; non poteva, magari, mancare
una partita al gioco della Morra: gioco, pericoloso poichè
fruttifero di scontri, imperniato sull’uso delle dita
e nella maestria di riuscire con la deposizione delle proprie,
indipendentemente da quanto annunciato a voce, a... fare sette.
Questo lavoro di carrettiere lo svolse, per molti decenni,
anche Giovanni Arici (1893) da Peder di Ome (Brescia) e da
Barche di Brione, sempre sulle alte colline del Bresciano,
verso il Mercato ortofrutticolo all’ingrosso di Brescia
città e poi, negli anni Cinquanta, anche suo figlio
Vittorio (1925), rispettivamente suocero e cognato di Francesco
Piardi.
Di ritorno i carrettieri passavano dal mugnaio e dai vari
bottegai a caricare alimenti per la propria e le altrui famiglie
della Contrada di domicilio; in genere si evitava di compiere
viaggi a carico vuoto, bisognava evitare di far... impigrire
il mulo alle stanghe, in realtà si trattava, invece,
di compiere: <<Èn viàss e du sèrvese>>
(un viaggio e due servizi).
Quelli di Barche o di Brione e di Pezzaze scendevano a valle
ed in pianura con la frutta di stagione: uva, mele e castagne,
nelle diverse varietà, ovvero, dopo il taglio ed essiccatura,
legna da ardere per i caminetti dei focolari domestici.
Una volta tornati a casa bisognava governare il cavallo od
il mulo: liberarlo dalla sella di tiro e dai vari legacci
uniti al sottopancia, l’alimentazione, il servizio di
brusca e striglia e custodia dei “finimenti” dell’animale
da soma; ricoverare il carretto dopo averlo controllato nei
particolari, soprattutto i cerchi metallici posti attorno
alle ruote di legno, ‘oliare’ con grasso la cremagliera
del freno a mano e verificare lo spessore dei pattini frenanti,
controllare il gasolio nel serbatoio della lanterna. Per ultima
la consumazione della cena personale.
Duro il mestiere del Carrettiere, anche per Francesco Piardi.
(A cura di Achille Giovanni Piardi, figlio di Francesco. Ottobre
2009)
Carro speciale a tripla trazione animale
in linea, per trasporto di vino in botti verso la Valcamonica
o con destinazioni di montagna; lavoro compiuto anche
da Francesco Piardi (1911), con Marco Peroni "Dei
detti Santomolinaro" (classe 1907, vivente nel giugno
2010 avente compiuto ben 103 anni il 8 maggio), negli anni
negli anni '30 e sino agli inizi degli anni '50 del secolo
XX; come più volte raccontato dallo stesso Marco e
come descritto nell'intervista del 15 febbraio 1998, in
"I PIARDI" Vol. I, Glossario alla Voce "Peroni", pag.
468 - 473. (Testimonianza di Achille Giovanni Piardi,
figlio di Francesco ed amico, dagli anni '60, di Marco Peroni
e dei suoi fratelli).
Il mezzo che vediamo nella foto è quello dei fratelli
Bonometti "detti Ca-agnì" di Gussago. (Rinetta
Faroni in Saggi nel proprio mestiere - Artigiani gussaghesi
tra passato e futuro. La Comp. della Stampa. Roccafranca,
1998).
Anche in Valtrompia, terre dei Piardi, si conosceva l'uso
di questo carretto con plurima trazione a sangue, in particolare
quello posseduto dalla famiglia detta del Balao di
Tavernole sul Mella (come ben segnalato da Angelo Secondo
Viotti, del 1916, da Pezzaze).
Nel tempo sono stati "carrettieri", oltre
a Francesco (Gussago, 1911):
- Francesco Piardi dei detti Valì, padre di Ettore
(1931), Attilio e Antonio da Pezzaze;
- Domenico Maffina da Pezzaze, cui, in Lavone di Pezzaze, si
rovesciò il carretto negli anni Trenta del Novecento;
- Bortolo Bregoli detto Cego, sposo di Angelina Piardi (1901-1937)
figlia di Angelo dei detti Brine di Pezzaze;
- Luigi Piardi (Gussago, 1890), noto come "Bigì
di Runcù", sin da quando lavorava la Breda degli
Odorici;
- Angelo Piardi (Gussago, 1877) faceva, addirittura il
vetturino, anche postale, con un veloce “biròcc”
barroccio; esercitò sino agli anni Quaranta, morendo
l’anno 1945;
- Giacomo Piardi (1875-1944) dei detti Celvìt
di Pezzaze, negoziante e carrettiere, dopo essere stato oste
e elettricista; fu padre del noto Fiume (1919);
- Annibale Piardi, dei detti Cega Pirle, figlio di Giuseppe
e di fu Ferraglio Maddalena da Pezzoro. Nato a Pezzoro il 20
aprile 1857. Coniugato con Maria Piardi di Giacomo
e di Bontacchio Aurelia. Dimorante in Stravignino di Pezzaze
verso la fine del Novecento ed ancora alla morte, l'anno 1931.
Francesco Piardi (Gussago, 1911), con i segugi e le lepri;
quando viveva a Navezze l'anno 1961
Francesco Piardi (1911), anno 1930
Alpini. Francesco Piardi (col cappello d'Alpino
al rovescio, ...per evitare l'ombra sul viso) con commilitoni
di Gussago, tra cui Enrico Bonfadelli (1911) figlio di Elisa
Piardi (morta 1930); durante una pausa delle manovre militari,
l'anno 1936, sulle montagne di Brunico.
11-12 maggio 2016.
Achille Piardi figlio di Francesco (1911) pubblica in un “Gruppo” di un social network la foto di carrettieri intenti ad un trasporto di botti di vino, la stessa che appare qui di seguito, accompagnandola con un suo commento, oltre a quello proprio della foto apparsa in Rete.
[Foto da Agenda Bresciana 2016. Supplemento al Lönare Bressà 2016. Direttore Resp. Giovanni Cherubini. Gio.cher@tin.it - Stampa Pagani di Passirano – BS. Publimax – Brescia]
“Qualcuno si ricorda aver visto un carretto come questo? ... sì, io sì! A GUSSAGO era detto bara o baretta, una qualche volta era anche a doppia pariglia ed un capofila singolo innanzi”.
Achille fa seguito all’inserzione iniziale con il seguente commento: “Mio padre Francesco, carrettiere per un certo periodo (almeno negli anni Trenta/40 del Novecento), utilizzò anche questo speciale carretto assieme a Marco Peroni (1907) da Gussago (Brescia) – amico dei Piardi, in particolare dei gemelli Giuseppe e Pietro (nati nel 1906) e che morì qualche mese fa all’età di anni 108 – per portare botti di vino in Alta Valcamonica”. [Vedi episodio narrato nell’intervista al Peroni, alla voce PERONI. Volume 1°, cartaceo, I PIARDI, luglio 1998]
All’inserzione e commento di Achille fa eco, da Mendoza in Argentina, Vincenzina Piardi (1935), affermando: <<Noi, un tempo, abitavamo a Piedeldosso di Gussago, vicino alla trattoria di Marchina, detto Murì. Il tuo babbo con il suo carretto (tornando a Gussago, a casa, dalla Val Trompia) veniva giù dal Passo della Forcella verso Piedeldosso; la strada non era pavimentata, c’erano i “cógoi” (acciottolato), perciò il rumore del carro si udiva da lontano; …ma, sai chi arrivava a casa mia prima che vi giungesse lo zio “Cèco” (Francesco) col carretto? La Adua, un cane da caccia, molto fedele. Questa femmina canina era stata con noi tutti, Piardi, già in quel di Navezze di Gussago, dove ho abitato quando ero molto piccola e, dove ancora abitava lo zio “Cèco”… Sono bei ricordi!>>.
Achille - dopo aver avvertito i fratelli, Rosangela e Bruno, del racconto della cugina Vincenzina – commosso, riscontra: “Vincenzina Piardi. Grazie. Grazie tante... Questo, che tu mi narri, è un particolare della vita di mio padre che non conoscevo, sono nato assai dopo; poi - da grande - non vi è stato tempo per acquisirlo dalle sue labbra, purtroppo. Tutto terminò, infatti, improvvisamente il 4 marzo 1969, quando stavo nella zona del Brennero con le stellette sul bavero e la penna sul cappello. Grazie. Ciao”.
[Gussago, 12 maggio 2016. A cura di Achille Giovanni Piardi]
Vincenzina Piardi da Mendoza in Argentina, ancora, racconta:
<<Mi fa piacere rammentare i miei ricordi (del tempo in cui mi trovavo ancora in Italia, sino al 1949). Nel mio primo viaggio di ritorno a Gussago, anno 1980, ci trovavamo ad una cena preparata dalla nostra cugina Luciana Piardi (m. 2000) con tutti suoi fratelli e famiglie, parlavamo di cose molto lontane (nel tempo); Ernesto Piardi (1936), nostro cugino, era seduto vicino a me e ad un tratto gli domandai: dimmi, tu ti ricordi della “Adua”? Ernesto, alzandosi, disse: “Madorâ, scultì töcc, la sa ricordâ amò de la Aduâ, la cagnâ chè ‘l erâ sèmper col zio Cèco!”. (Traduzione dal dialetto: Certamente, ascoltate tutti, si ricorda ancora di Adua, la cagna che era sempre appresso allo zio Francesco!). Vedi, Achille, anche Ernesto si ricordava bene dell’abitudine che tuo padre, lo zio Cèco (Francesco), si facesse accompagnare da questo cane fedele quando viaggiava col carretto trasportando merci>>.
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