VOLUME
III
3. VITA VISSUTA
3.5 Mestieri e professioni
La famiglia
di Achille Domenico Piardi allevò bachi da seta
Da un testo preparato da Angelo Cartella, gussaghese,
figlio di Caterina Reboldi da Civine di Gussago (la stessa
patria nativa di Angela Camilla Ghedi Piardi) e da un'
intervista ad Angelo medesimo, con l'integrazione della storia
di Angela Camilla, “Angilina dei Piardi”,
rimasta aggrappata alla "scalera dei caaleèr"
torniamo, con la fantasia, alla fine del mese di Maggio
1931.
Crediamo possa interessare parlare di questa scomparsa coltura, un
tempo essenziale e provvidenziale per assicurare un minimo,
seppur magro, reddito alle famiglie gussaghesi.
Le foto proposte sono secondo l'ordine progressivo di crescita
del baco da seta, sino al bozzolo.
La Coltura del BACO da SETA anche in casa Piardi
a Gussago
La mitìda di Caaleèr. La bachicoltura a GUSSAGO.
Dal bigàtt a la galèta
Angelo Cartella classe 1932, il 14 Novembre
2012, scrivendo ad Achille, così sì esprime:
<<Achille, oggi mi sono capitate le foto dei bachi da
seta che scattai anni fa; io ricordo bene, per noi contadini
sino agli anni 50 era una delle prime entrate, come quella
dovute alle ciliege. Perciò ci si impegnava prontamente,
con la necessaria assidua attenzione.
I bachi da seta dalla maggior parte dei contadini veniva definita
la prima vendemmia; negli anni ’40 del Novecento anche
noi li abbiamo allevati, bene e con la massima cura. Le tante
piante di gelso venivano tenute come fossero piante da giardino;
a maggio i rami carichi di verdi foglie erano una gran pastura
per i Caaleèr, ricordo bene, li mettevamo addirittura
nell’anticamera dello zio Angelo sulle apposite tavole,
una sopra l’altra con discreti interspazi per armeggiarvi.
Queste tavole cariche di bachi da seta e della foglia de mur
(gelso) così sormontate venivano comunemente chiamate
tavole a “scalera”, o semplicemente “scalere”,
avevano il fondo costituito da fusti di erbe di palude, sembravano
quasi canne di bambù comunque legate tra di loro con
spago fine affinché si realizzasse una superficie semirigida
ma arieggiata; canne di piccole dimensioni in grossezza.
[Le stesse tavole sempre poste a “scalera” in
altra stagione, da ottobre in poi, si usavamo per stendere,
l’uva invernesca da consumare l’inverno od anche
usare per fare la “sgranata” sul vino nuovo. ...si
diceva maturasse prima, così da essere i primi a smerciarlo
verso gli osti del paese].
Tornando a la mitìda di Caaleèr
, i bachi da piccoli si mettevano su fogli di carta e si dava
loro da mangiare le foglie di gelso tritate come si fa con
il radicchio da farne insalata per gli umani. Successivamente,
mano a mano che crescevano sino a stendere loro i rami di
gelso interi che, dopo che i bachi avevano mangiato tutte
le foglie, vi rimanevano sotto come base per l’inizio
della produzione dei bozzoli mettendo in aggiunta altri mazzetti
di fuscelli di legna legati alle tavole in modo che il baco
potesse avere più spazio per attaccarsi e chiudersi
nel bozzolo; questa operazione veniva chiamata creare il bosco:
èmbuscà i caaleèr. Poi i bozzoli venivano
raccolti e consegnati velocemente alla filanda, prima che
il baco diventato farfalla potesse uscire forando il bozzolo
e cosi rovinandolo; la prima operazione della filanda era
la scottatura dei bei bozzoli in modo da far morire la larva
interna poi, a seguire, sgomitolare il filo di seta del bozzolo
per produrre la stoffa serica.
Altra operazione in autunno era quella tesa alla cura delle
stesse piante di gelso affinché si riproducessero rigogliose
e, a parte quelle che cadevano con le prime brinate, le altre
salendo, anche noi ragazzi, sulle piante a staccare le ultime
rimaste che, raccolte, parte si davamo subito da mangiare
alle mucche e parte venivano pressate in vasche o tubi di
cemento coperte con uno strato di terra umida per evitare
che entrasse aria che le avrebbe fatte “ribollire”
e poi marcire, impedendo nel corso dell’inverno di poterle
dare alle mucche quale foraggio. Durante la stagione invernale
i rami dei gelsi venivano rarefatti e preparati per la successiva
primavera, e i rami tagliati (smérse de mur) si usavano
per legare i fasci di legna fatti di tralci di vite ed anche
per legare (tirà) le stesse viti, una volta potate.
I gelsi, non tagliati per i bachi da seta, producono il loro
frutto che sono le more di colore bianco o nero. In periodi
di magra, le more di gelso si raccoglievano e fatte ribollire
(fermentare) come l’uva nelle botti si faceva un vinello
oppure il tutto alla fine veniva distillato ricavandone della
grappa ed, in ultimo, gli scarti servivano utilizzati come
concime.
I bachi da seta sono ancora prodotti in una qualche cascina
della Bergamasca od in qualche museo contadino, a scopo didattico,
come mi è capitato di vedere, qualche anno fa, nella
zona di Malpaga; in quella occasione ho fotografato ed archiviate
parecchie foto sulla bachicoltura. Sono le foto di ti ho parlato
all’inizio. Conserviamo almeno questo poco>>.
Angelo Cartella, rammentando ad Achille (suo odierno interlocutore)
ancora racconta: <<“Ricordati che i bachi i (caaler
o caaleèr) si prendevano ad once (dialetto = ónse) ed
è meglio spiegare a quale comprensibile quantità
si riferiva l’oncia (pari a circa 30 grammi, più
esattamente: 28,35 grammi) perché sulla stessa misura
si valutava la resa in bozzoli e che era molto
importante indovinare il periodo in cui prenderli per arrivare
alla fine del ciclo di maturazione con la massima disponibilità
di foglie e rami di gelso (mur) in dialetto. Ricorda
anche che i gelsi non tagliati per i bachi, in estate producono
il frutto che sono le more utilizzate anche per fare la grappa>>.
(Testimonianza di Angelo Cartella - classe 1932, raccolta
da Achille Giovanni Piardi).
Angelo Cartella - al momento della morte del padre - venne,
poiché ancora minorenne, preso sotto tutela da Giuseppe
Piardi (1906) figlio di Achille Domenico e lo aiutò
anche nella conduzione del vigneto di famiglia attiguo al
proprio.
Quando il 30-31 maggio 1931 Gussago viene colpita dalla ricordata
forte alluvione con ingenti disastri, molte famiglie stanno
ancora accudendo ai “Caalér o Caaleèr
e temono di perderne il raccolto ormai in bozzoli, anche se
non ancora maturi. Questo, come in altre contrade, accade
anche a Navezze dove ad accudire i bachi da seta in casa Piardi
è Angela Camilla Ghedi, sposa di Achille Domenico della
classe 1880. La stessa preoccupazione investe a Navezze almeno
altre 30 famiglie; si pensi a quante possono essere nell’intera
comunità gussaghese. Una perdita ingente di reddito
che può gettare sul lastrico diverse famiglie, all’epoca
ancora in assetto patriarcale! “Bello” l’episodio
che si racconta tra i Piardi navezzesi: <<Achille torna
a casa a cavallo dell’alluvione e scavalcando le macerie
va cercando in casa la sua Angilina (Angela Camilla), non
trovandola si preoccupa e una volta domandato alle figlie
più giovani ancora in casa (Marietta di 7 anni e mezzo,
Marianna di ani 12, Brigida di non ancora 18 e il figlio Andrea
di anni 10), mentre come si sa gli uomini erano a sgomberare
macerie, dove fosse la loro madre giungono tutti alla conclusione
che non potesse trovarsi che “re ai caaleèr!”,
ad accudire i bachi da seta. Corso poco più a nord
della Contrada ed entrato nel cortile di destra degli Zanotti,
chiamandola a gran voce: “Angilina!”; ella rispose:
“Achile so che, söl scalèt, pustàt
a la scaléra di caaleèr; pode miga gni zo, ghè
tata de aiva! Raggiuntala, la trova su di una scala a pioli
appoggiata ai sostegni “Scalera! che reggono le “taule”,
tavole di canne (tipo bambù) che portano i bachi da
seta in bozzolo, ormai “èmbuscacc”, legati
alle ramaglie: quasi pronti per i fornelli della filanda,
quelle di Piedeldosso (Sovernighe e Via Stretta) o di quella
più grande in funzione a Cellatica nella quale trovano
occupazione molte ragazze e donne gussaghesi. Achille Domenico
preleva Angilina di peso entrando in acqua e se la porta a
casa. Per questa volta sono salvi sia i “caaleèr”
e la loro governante, e… la mamma dei sue figli Piardi,
diversi ancora piccoli o, comunque, minori d’età.
GUSSAGO e l’odore dei bozzoli di Via Stretta,
strada con la dimora dei PIARDI, e di Piedeldosso
Una gussaghese, in una sua opera, racconta: “(…).
In via Stretta aleggia una parte dell’anima segreta
del nostro paese. (...). Qualche traccia di devozioni scomparse
una settecentesca Madonna delle sette spade sul muro di una
casa; (…). Traffici serici connessi ad una filanda dei
nobili Cavalli (oggi nn. 5-7) furono attivi nel secolo scorso
(Ottocento), quando odore di bozzoli e vapori di fornelle
invasero questa ed altre strade gussaghesi. Molte delle case
su via Stretta conservano solide pietre di altrettanti consistenti
casati; (…). (…). …entriamo in via Sovernighe
e assaporiamo il respiro del tempo. …e sostiamo nei
pressi della costruzione settentrionale di Villa Chinelli
Colonna. (...). L’edificio settentrionale (della Villa)
affacciato su Via Volpera era una filanda sicuramente fin
dagli inizi del secolo scorso (n.d.r. Ottocento). Uno dei
proprietari si era recato personalmente in Giappone e Cina,
come facevano molti coraggiosi imprenditori bresciani nella
seconda metà dell’Ottocento, a comprare i cartoni
con i semi dei bachi. Durante un viaggio di ritorno, colpito
da colera, morì sulla nave e fu sepolto in mare. Una
delle tre sorelle Chinelli andò in sposa ad un barone
Colonna di Altamura, ufficiale di cavalleria, e la villa divenne
Chinelli Colonna. (…)”.
[Rinetta Faroni “Gussago - I borghi ritrovati”.
Comune di Gussago, dicembre 1996; pag. 19. Itinerario n. 2].
I Chinelli, di origini valtrumpline come i Richiedei erano
tra loro parenti in quanto la madre del nobile Paolo Richiedei
era una Chinelli. I Richiedei, imparentati nei secoli con
i Piardi, furono anch’essi originari di Pezzaze, in
particolare della frazione Lavone.
Vedi LAVONE e RICHIEDEI alle pagine dei Piardi:
- LAVONE
- I PIARDI - RICHIEDEI e i RICHIEDEI
– PIARDI. Giuseppe Richiedei figlio di Santina Piardi
(“Gilde”).
Angelo Cartella (1932), chiudendo, ricorda ad Achille: “…ogni
famiglia comprava mezza oncia od, al massimo, una intera di
seme”.
(Achille Giovanni Piardi. Marzo 2013, per la pagina dedicata
a nonno Achille Domenico Piardi)
Bachi da seta o Filugelli: vedi la “Scheda”
proposta dall’Associazione Famiglie Gussaghesi in www.gussagofamiglie.it
meglio al link specifico http://www.gussagofamiglie.it/joomla/images/stories/pdf/il%20baco%20da%20seta.pdf
I quaderni della Maestra. La maestra Teresa Angeli (prima
insegnate di Achille Giovanni Piardi, l’anno 1954).
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13 marzo 2013. Il commento di Vincenza Piardi dall'Argentina
a proposito dei Caaleèr
<< Achille. Bellissimo questo tuo scritto,
mi ha fatto ritornare indietro molti anni, a me piace e per
qualche minuto non sono più qui, me ne vado a Gussago...
Mi ricordo benissimo dei bachi da seta. Non di Navezze ma
di Pie del Dosso. (Infatti) La nonna ed il nonno Giambattista
Ba, facevano tutto ciò che tu hai spiegato nel tuo
scritto, sistemavano quei tavoloni in una stanza grande nel
cortile di casa Ba, poi questa stanza fu abitata da zio Piero
e zia Giulia Ba, mi ricordo che i nonni non volevano che si
aprisse la porta di questa stanza, pensavano che i bachi potessero
prendere freddo. Dici che (un tempo) lavoravano la seta in
una parte del palazzo di Piedeldosso che dava su Val Volpera;
quando ancora frequentavo la scuola elementare, lì
abitava una amichetta mia, con i suoi genitori, era figlia
unica. Del palazzo di Via Sovernighe mi ricordo benissimo.
Quando hanno tolto le cancellate ferrate che davano alla strada
(in tempo di guerra) noi abitavamo in fronte. Lì (nella
casa) del Murì, io, forse, avevo 10 anni, salii sopra
il muro, caddi sulla strada, tutta di pietra, e non seppi
più nulla... La Fana, (Achille) non so se ti ricordi
tu della signora Fana, la conoscevano tutti, prese in braccio
me senza sensi e mi portò a casa con la mamma. RICORDI...
Ciao Vincenza >>.
Achille risponde:<<BELLISSIMO il tuo RICORDO!. Della
signora FANA, maritata ad Angelo GREOTTI, mi ricordo assai
bene: era un personaggio del tutto singolare. Quando levarono
le inferiate per farne "FERRO PER LA PATRIA", come
accadde anche per la gran parte delle campane delle chiese,
anche di Gussago, tu avevi circa otto anni, forse appena compiuti
(primavera del 1943)>>.
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