Giornale di Brescia
Sabato 23 febbraio 2002

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 CRONACA Pag. 12    

La storia di due sorelle arrivate in Sudamerica più di cinquant’anni fa
L’Argentina in occhi bresciani
Vincenza e Adele Piardi: «Siamo partite da Gussago nel 1949»

si vedano anche:
http://...commissionedirettivame/view?searchterm=piardi
http://www.piardi.org/volume3emigrazione.htm
 

Le due sorelle bresciane al loro arrivo in Argentina

  

Tutto bloccato, a Mendoza come nel resto di un’Argentina in piena crisi: è l’immagine descritta da due sorelle di origine bresciana, residenti da più di mezzo secolo nel Paese dove molti - anche dalla nostra provincia - sono emigrati in cerca di futuro, e oggi si ritrovano alle prese con problemi economici più o meno gravi ma che non risparmiano nessuno. Loro, le signore Vincenza e Adele Piardi da Gussago, appartengono infatti alla classe media; e possono testimoniare che la crisi «colpisce non soltanto quanti già vivevano in povertà, la cui situazione è ulteriormente peggiorata rispetto al passato, ma anche il ceto medio-alto». Per quanto riguarda in particolare gli immigrati italiani, «molti sono ridotti al sussidio delle autorità consolari e diplomatiche ed è enorme il numero di quanti chiedono di rientrare in Italia». Una smania di ritorno alle origini, ma soprattutto un desiderio di fuga da una situazione diventata insopportabile a causa - tra l’altro - della chiusura di molte attività di ristorazione, tradizionalmente gestite proprio da italiani. Ma è fermo anche il commercio, «soprattutto il settore dell’abbigliamento». Di qui i licenziamenti e intere famiglie costrette a sacrifici finora inimmaginabili. Amarezza e incertezza sono i sentimenti prevalenti anche in «questa deliziosa città, "tierra del sol y del buen vino", notoriamente ricca grazie all’agricoltura e alle industrie che attiravano manodopera da Perù, Cile, Bolivia». Ora chi ha potuto è tornato nel proprio Paese; gli altri sono ridotti a fare i «lavavetri» agli incroci e, nel peggiore dei casi, ad alimentare la microcriminalità. Le signore Piardi, dal canto loro, a tornare in Italia non sembrano proprio pensare: a Mendoza ci sono le loro figlie e i generi che lavorano, i nipoti che studiano e che nel nostro Paese vorrebbero piuttosto venire in vacanza; insomma, si cerca di fare la solita vita. Quella vita conquistata con tanta fatica, come in ogni storia di emigrazione conclusa felicemente, pur nella nostalgia della terra nativa. Vincenza e Adele Piardi in Argentina sono arrivate nel 1949, rispettivamente a 14 e nove anni, insieme alla madre. Il padre Pietro le aveva precedute circa un anno prima, provato dalle difficoltà del dopoguerra e incoraggiato dai racconti di un amico: «diceva che in questo Paese c’era lavoro per tutti e che si poteva vivere bene e risparmiare», rammenta la signora Vincenza. Che dell’addio a Gussago e del lunghissimo viaggio per raggiungere il Sudamerica ha un ricordo assai vivido. «Non dimenticherò mai quella mattina», afferma a proposito del giorno della partenza: «faceva freddo e cadeva una pioggia leggera; quando arrivammo nella piazza della fontana, si accesero le luci di qualche finestra di conoscenti che ci volevano salutare». Poco prima, a casa, c’era stato l’abbraccio con i nonni: «Non avrei mai pensato che il nonno, un uomo così forte, potesse piangere...». Vincenza, però, era «più contenta che triste perché avremmo rivisto il nostro caro papà». Il viaggio, poi, rappresentava per lei, ragazzina dagli occhi spalancati sul mondo, una meravigliosa avventura: il treno da Brescia a Genova, la nave carica di passeggeri, le luci dell’Italia sempre più lontane e poi Napoli e Santa Cruz de Tenerife, la bambola acquistata ad Adelina dalla mamma durante uno scalo («ce l’ha ancora»!) e la festa sulla nave all’arrivo all’Equatore, ma anche due bufere e l’oceano che non finiva mai... Ed ecco «l’America»: Santos, Montevideo e Buenos Aires, con «il babbo tra la gente che ci salutava con le braccia alzate e un fazzoletto in mano». Una notte all’hotel «De los immigrantes», nello stesso porto di Buenos Aires, e la famiglia al completo si rimette in viaggio per Mendoza, prima in treno e poi su un autocarro fino al paese di Tres Porteñas. «Verso sera, in lontananza, vedemmo una specie di oasi: erano erano i grandi vigneti dove lavorava il papà. La nostra casa era nuova, con un portico, una saletta, la cucina e due camere, ma era quasi vuota». Il mattino dopo, «era ancora buio, ci svegliò il rumore del galoppo di moltissimi cavalli condotti dai gauchos che urlavano sventolando frustini ed erano vestiti in modo per noi inconsueto: pantaloni larghi, una fascia in vita e un cappellone di paglia». È l’inizio dell’avventura della famiglia Piardi. Il signor Pietro ha un sogno: comprare un pezzo di terra in un luogo meno isolato di Tres Porteñas. Ma la nostalgia si fa sentire, a volte basta una canzone; e le ragazzine sentono la mancanza del loro paese «con le sue colline verdi» e la sua vitalità. Per fortuna iniziano ad andare a scuola, in collegio a Rodeo del Medio, dalle suore di Maria Ausiliatrice che insegnano loro a parlare, leggere e scrivere perfettamente lo spagnolo. Un anno dopo, i genitori decidono di trasferire la famiglia a Rodeo del Medio: una grandinata ha distrutto nove ettari di uva e il sogno di Pietro Piardi che decide di cominciare tutto da capo. Soltanto molti anni dopo riuscirà ad acquistare una bella casa con un giardino e qualche vite, dove vivrà fino al ritorno in Italia, «al loro paese - sottolinea la signora Vincenza -, perché man mano che passavano gli anni lo ricordavano sempre di più». Le ragazze intanto crescono, Vincenza si diploma in stenografia e trova impiego in un’importante azienda a Mendoza, Adelina viene assunta in un grande negozio di stoffe. Si sposano: la più grande con un giovane figlio di spagnoli che lavora nel settore immobiliare; la minore con un veneto che fa l’impiegato. Nascono le figlie e poi i nipoti. «Ogni volta che la famiglia si riunisce - spiega Vincenza - Adelina e io parliamo il nostro dialetto bresciano, non quello "dolcificato" che si parla adesso a Gussago, ma quello dei nostri nonni, senza "s", e i nostri nipoti ci chiedono se siamo tedesche». Lo stesso dialetto serve alle signore Piardi per comunicare con altri bresciani e con bergamaschi che incontrano in occasione delle riunioni della «Famiglia lombarda de Mendoza», della quale Vincenza è vicepresidente. Si tratta di un’organizzazione che da 15 anni si sforza di mantener viva la cultura d’origine dei membri con concerti, momenti conviviali, sfilate di moda. «Con il ricavato diamo una mano a qualche lombardo che ha bisogno di aiuto». E - anche grazie ai contatti con la Regione Lombardia - «figli e nipoti di lombardi hanno compiuto viaggi di studio» in Italia. A Mendoza, riferisce ancora la signora Vincenza, «sono pochi i lombardi che hanno fatto grande fortuna, ma molti sono riusciti con il loro lavoro a costruirsi una buona posizione e a raggiungere il benessere». E ora si sentono minacciati. Ma non per questo amano meno l’Argentina che hanno contribuito con le loro braccia e le loro menti a rendere speciale: «La colpa - conclude orgogliosa la ragazzina partita da Gussago in una mattina piovosa di cinquant’anni fa - non è del Paese dove adesso abitiamo, bensì dei suoi dirigenti e politici». Francesca Sandrini

 

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