Giornale di Brescia
14 novembre 2000

 
Anche un PIARDI allo Spielberg in Moravia
La storia della fortezza austriaca di Brno, che raccolse prigionieri di varie nazionalità, molti dei quali erano patrioti come il Pellico Spielberg, il tenebroso carcere della nuova Europa Silvio Moretti, Andrea Tonelli, Lodovico Ducco e gli altri bresciani a cui fu tolta la libertà
 
 

BRNO

La fortezza dello Spielberg, posta su di un colle che sovrasta la città morava di Brno (l’austriaca Brünn), appartenuta fino al 1918 all’impero asburgico, quindi alla repubblica cecoslovacca e facente ora parte della repubblica ceca, è oggetto da anni di attenti e sistematici lavori di restauro, nel cui ambito ai locali e ai cimeli relativi alle dolorose vicende dei patrioti italiani della Carboneria e della Giovane Italia, dal Pellico al Maroncelli, dal Confalonieri al Borsieri, all’Arese, al Pallavicino e ai vari bresciani ivi detenuti nel primo Ottocento, è stato dato un ampio risalto, con una sistemazione riccamente corredata da materiali documentari e da chiarificatori percorsi di pannelli illustrativi. Va del resto detto che è lodevole a Brno l’attenzione riservata alla memoria dei prigionieri politici dello Spielberg, come l’intitolazione di uno dei viali che conducono verso il castello al Pellico, certo il più celebre in virtù dell’opera autobiografica Le mie prigioni fra gli italiani detenuti nella fortezza, o come la stele eretta nel 1925 dal comitato della società «Dante Alighieri» della città in ricordo dei cinque patrioti italiani «morti», vi si legge, «per la redenzione d’Italia nelle carceri dello Spielberg», fra cui il bresciano Silvio Moretti. Gli altri sono Antonio Fortunato Oroboni e Antonio Villa, ambedue di Fratta Polesine, il mantovano Cesare Albertini e il veronese Giovanni Vincenti. Il castello dello Spielberg ha una lunga storia: venne eretto nella seconda metà del XIII secolo dal re boemo Premysl Otakar e svolse nei secoli una funzione strategica di particolare importanza, come nel 1645, durante la guerra dei Trent’anni, quando resistette all’assedio di tre mesi da parte dell’esercito svedese o all’epoca della guerra di successione austriaca, nel 1742, anno in cui rese vani gli attacchi delle truppe prussiane di Federico II. Nel 1783, nell’ambito della riforma generale del sistema giudiziario e penitenziale, Giuseppe II stabilì che solamente nelle due fortezze dei territori ereditari, l’Austria e la Boemia, si sarebbero allestite prigioni per i delinquenti più pericolosi, nello Schlossberg di Graz e, appunto, nello Spielberg di Brno, che venne così trasformato in carcere e tale rimase fino al 1855, quando con Francesco Giuseppe ritornò ad essere una caserma militare. Nello Spielberg le carceri occuparono sia le casematte inferiori, «le tenebre», senza neppure un’illuminazione indiretta né sufficiente ventilazione, destinate ai condannati all’ergastolo, sia le casematte superiori che prendevano luce da una finestretta rettangolare posta sulla parte alta di una parete. Nel 1800 vennero approntati, sopra le casematte, locali posti al primo piano, un ambiente che offriva ai prigionieri ivi detenuti condizioni di vita assai meno insalubri e desolate, e queste stanze furono riservate ai prigionieri così detti di Stato, cioè i politici. Ma secondo quanto scrive il Pellico nelle Mie prigioni, egli stesso e il Maroncelli, suo compagno di sventura, quando giunsero allo Spielberg, il 10 aprile 1822, non furono subito collocati nel primo piano sopraelevato, ma in celle sottostanti. Leggiamo infatti nel finale del capitolo LVII: «Maroncelli ed io fummo condotti in un corridoio sotterraneo, dove ci s’apersero due tenebrose stanze non contigue. Ciascuno di noi fu chiuso nel suo covile». Mentre qualche giorno dopo il Pellico, esausto e febbricitante, fu trasportato in una stanza del primo piano, Maroncelli rimase in quell’«antro» iniziale per circa nove mesi, dato che solo nel gennaio del 1823 venne egli pure trasferito nel piano superiore e posto insieme al Pellico nella stanza che nell’attuale corridoio restaurato dei prigionieri italiani è contrassegnata dal numero 14. Due grandi lapidi ricordano i nomi e la provenienza dei prigionieri, distinti in carbonari, della Giovane Italia e della rivoluzione del 1848, per un totale di 45 nomi, dei quali ben 8 di bresciani, della città e della provincia. I carbonari bresciani detenuti allo Spielberg furono il colonnello dell’età napoleonica Silvio Moretti, di Comero, in Val Sabbia, morto, abbiamo visto, durante la prigionia; Andrea Tonelli, di Coccaglio, che venne liberato nell’agosto del 1830 insieme con il Pellico e con il Maroncelli, facendo con loro il lungo viaggio di ritorno fino a Brescia, ove «quest’infelice», scrive il Pellico nel capitolo XCV delle Mie prigioni», «seppe d’aver perduta la madre, e le desolate sue lagrime mi straziarono il cuore»; Antonio Dossi, che dopo la prigionia si impegnò anche nei fatti del 1848-49, e fu esule in Piemonte; Lodovico Ducco, il cui palazzo, al numero 2 dell’attuale via Cairoli era stato un centro della cospirazione bresciana del 1821; Vincenzo Martinengo Colleoni, come il Moretti, colonnello negli anni napoleonici, mentre aderenti alla Giovane Italia e giunti allo Spielberg circa un decennio più tardi, furono il noto studioso e futuro presidente dell’Ateneo, Gabriele Rosa, di Iseo, Giovan Battista Piardi, di Pezzaze, all’epoca dell’arresto allievo della scuola veterinaria di Milano e il dottore in legge Giacomo Poli. Quasi tutti erano stati condannati a morte, con pene poi commutate in diversificati numeri di anni di carcere duro. Ancor prima dei lavori di restauro, lo Spielberg era stato proclamato monumento culturale nazionale. Spiega il professor Jiri Vanek in Le casematte dello Spielberg, La fortezza e la prigione barocche, Museo municipale di Brno, Brno 1993, traduzione dal ceco a cura di Francesco Brignole: «Ciò avvenne non solo in memoria dell’antico, celebre passato del castello dei margravi della stirpe dei Premislidi e dei Lussemburgo, della fortezza medievale e barocca, ma anche delle sofferenze di tanti che vi furono imprigionati. Tra le mura dello Spielberg - ricorda Jiri Vanek - non furono incarcerati solo comuni criminali, ma anche coloro i quali si erano battuti e avevano lottato per avere più diritti umani, per la libertà dei popoli. (...) I cittadini di molte nazioni europee ebbero qui i propri eroi e martiri e onorano tuttora la loro memoria: non per nulla lo Spielberg aveva e ha anche la fama di "carcere dei popoli". Basta ricordare - continua Vanek - i sostenitori della rivoluzione francese, i giacobini ungheresi, i carbonari italiani, i rivoluzionari polacchi. E poi, non all’ultimo posto, centinaia e migliaia di patrioti cechi all’epoca della Prima guerra mondiale e in particolare durante il primo anno dell’occupazione nazista, allorché lo Spielberg si trasformò di nuovo (speriamo per l’ultima volta) in una grande prigione». A causa di questa sua drammatica caratteristica di «carcere dei popoli», lo Spielberg rappresenta storicamente uno fra i momenti più sofferti del travagliato cammino verso l’odierna riconquistata identità europea e si inserisce di conseguenza nel novero dei molti luoghi della memoria comuni ai vari popoli del Vecchio Continente.

Amedeo di Viarigi