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BRNO
La fortezza dello Spielberg,
posta su di un colle che sovrasta la città morava
di Brno (l’austriaca Brünn), appartenuta
fino al 1918 all’impero asburgico, quindi alla
repubblica cecoslovacca e facente ora parte della repubblica
ceca, è oggetto da anni di attenti e sistematici
lavori di restauro, nel cui ambito ai locali e ai cimeli
relativi alle dolorose vicende dei patrioti italiani
della Carboneria e della Giovane Italia, dal Pellico
al Maroncelli,
dal Confalonieri al Borsieri, all’Arese, al Pallavicino
e ai vari bresciani ivi detenuti nel primo Ottocento,
è stato dato un ampio risalto, con una sistemazione
riccamente corredata da materiali documentari e da chiarificatori
percorsi di pannelli illustrativi. Va del resto detto
che è lodevole a Brno l’attenzione riservata
alla memoria dei prigionieri politici dello Spielberg,
come l’intitolazione di uno dei viali che conducono
verso il castello al Pellico, certo il più celebre
in virtù dell’opera autobiografica Le mie
prigioni fra gli italiani detenuti nella fortezza, o
come la stele eretta nel 1925 dal comitato della società
«Dante Alighieri» della città in
ricordo dei cinque patrioti italiani «morti»,
vi si legge, «per la redenzione d’Italia
nelle carceri dello Spielberg», fra cui il bresciano
Silvio Moretti. Gli altri sono Antonio Fortunato Oroboni
e Antonio Villa, ambedue di Fratta Polesine, il mantovano
Cesare Albertini e il veronese Giovanni Vincenti. Il
castello dello Spielberg ha una lunga storia: venne
eretto nella seconda metà del XIII secolo dal
re boemo Premysl Otakar e svolse nei secoli una funzione
strategica di particolare importanza, come nel 1645,
durante la guerra dei Trent’anni, quando resistette
all’assedio di tre mesi da parte dell’esercito
svedese o all’epoca della guerra di successione
austriaca, nel 1742, anno in cui rese vani gli attacchi
delle truppe prussiane di Federico II. Nel 1783, nell’ambito
della riforma generale del sistema giudiziario e penitenziale,
Giuseppe II stabilì che solamente nelle due fortezze
dei territori ereditari, l’Austria e la Boemia,
si sarebbero allestite prigioni per i delinquenti più
pericolosi, nello Schlossberg di Graz e, appunto, nello
Spielberg di Brno, che venne così trasformato
in carcere e tale rimase fino al 1855, quando con Francesco
Giuseppe ritornò ad essere una caserma militare.
Nello Spielberg le carceri occuparono sia le casematte
inferiori, «le tenebre», senza neppure un’illuminazione
indiretta né sufficiente ventilazione, destinate
ai condannati all’ergastolo, sia le casematte
superiori che prendevano luce da una finestretta rettangolare
posta sulla parte alta di una parete. Nel 1800 vennero
approntati, sopra le casematte, locali posti al primo
piano, un ambiente che offriva ai prigionieri ivi detenuti
condizioni di vita assai meno insalubri e desolate,
e queste stanze furono riservate ai prigionieri così
detti di Stato, cioè i politici. Ma secondo quanto
scrive il Pellico nelle Mie prigioni, egli stesso e
il Maroncelli, suo compagno di sventura, quando giunsero
allo Spielberg, il 10 aprile 1822, non furono subito
collocati nel primo piano sopraelevato, ma in celle
sottostanti. Leggiamo infatti nel finale del capitolo
LVII: «Maroncelli ed io fummo condotti in un corridoio
sotterraneo, dove ci s’apersero due tenebrose
stanze non contigue. Ciascuno di noi fu chiuso nel suo
covile». Mentre qualche giorno dopo il Pellico,
esausto e febbricitante, fu trasportato in una stanza
del primo piano, Maroncelli rimase in quell’«antro»
iniziale per circa nove mesi, dato che solo nel gennaio
del 1823 venne egli pure trasferito nel piano superiore
e posto insieme al Pellico nella stanza che nell’attuale
corridoio restaurato dei prigionieri italiani è
contrassegnata dal numero 14. Due grandi lapidi ricordano
i nomi e la provenienza dei prigionieri, distinti in
carbonari, della Giovane Italia e della rivoluzione
del 1848, per un totale di 45 nomi, dei quali ben 8
di bresciani, della città e della provincia.
I carbonari bresciani detenuti allo Spielberg furono
il colonnello dell’età napoleonica Silvio
Moretti, di Comero, in Val Sabbia, morto, abbiamo visto,
durante la prigionia; Andrea Tonelli, di Coccaglio,
che venne liberato nell’agosto del 1830 insieme
con il Pellico e con il Maroncelli, facendo con loro
il lungo viaggio di ritorno fino a Brescia, ove «quest’infelice»,
scrive il Pellico nel capitolo XCV delle Mie prigioni»,
«seppe d’aver perduta la madre, e le desolate
sue lagrime mi straziarono il cuore»; Antonio
Dossi, che dopo la prigionia si impegnò anche
nei fatti del 1848-49, e fu esule in Piemonte; Lodovico
Ducco, il cui palazzo, al numero 2 dell’attuale
via Cairoli era stato un centro della cospirazione bresciana
del 1821; Vincenzo Martinengo Colleoni, come il Moretti,
colonnello negli anni napoleonici, mentre aderenti alla
Giovane Italia e giunti allo Spielberg circa un decennio
più tardi, furono il noto studioso e futuro presidente
dell’Ateneo, Gabriele Rosa, di Iseo, Giovan Battista
Piardi, di Pezzaze, all’epoca dell’arresto
allievo della scuola veterinaria di Milano e il dottore
in legge Giacomo Poli. Quasi tutti erano stati condannati
a morte, con pene poi commutate in diversificati numeri
di anni di carcere duro. Ancor prima dei lavori di restauro,
lo Spielberg era stato proclamato monumento culturale
nazionale. Spiega il professor Jiri Vanek in Le casematte
dello Spielberg, La fortezza e la prigione barocche,
Museo municipale di Brno, Brno 1993, traduzione dal
ceco a cura di Francesco Brignole: «Ciò
avvenne non solo in memoria dell’antico, celebre
passato del castello dei margravi della stirpe dei Premislidi
e dei Lussemburgo, della fortezza medievale e barocca,
ma anche delle sofferenze di tanti che vi furono imprigionati.
Tra le mura dello Spielberg - ricorda Jiri Vanek - non
furono incarcerati solo comuni criminali, ma anche coloro
i quali si erano battuti e avevano lottato per avere
più diritti umani, per la libertà dei
popoli. (...) I cittadini di molte nazioni europee ebbero
qui i propri eroi e martiri e onorano tuttora la loro
memoria: non per nulla lo Spielberg aveva e ha anche
la fama di "carcere dei popoli". Basta ricordare
- continua Vanek - i sostenitori della rivoluzione francese,
i giacobini ungheresi, i carbonari italiani, i rivoluzionari
polacchi. E poi, non all’ultimo posto, centinaia
e migliaia di patrioti cechi all’epoca della Prima
guerra mondiale e in particolare durante il primo anno
dell’occupazione nazista, allorché lo Spielberg
si trasformò di nuovo (speriamo per l’ultima
volta) in una grande prigione». A causa di questa
sua drammatica caratteristica di «carcere dei
popoli», lo Spielberg rappresenta storicamente
uno fra i momenti più sofferti del travagliato
cammino verso l’odierna riconquistata identità
europea e si inserisce di conseguenza nel novero dei
molti luoghi della memoria comuni ai vari popoli del
Vecchio Continente.
Amedeo di Viarigi
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