Giornale di Brescia
24 luglio 2002

 
Parlano i sacerdoti Fidei Donum che mons. Giulio Sanguineti ha incontrato nel
suo viaggio in Brasile
In Sudamerica, portatori di speranza
Don Piardi
è da anni impegnato in Uruguay: «Primo dovere, formare laici responsabili»
 
 

Il viaggio in Brasile del Vescovo, mons. Giulio Sanguineti, è un’occasione speciale per conoscere le diverse realtà pastorali e assistenziali sudamericane in cui sono impegnati i sacerdoti bresciani Fidei Donum. Dalla loro voce, attraverso una serie di interviste, è possibile cogliere i tratti essenziali dell’esperienza missionaria in corso e il senso che essa ha per l’intera Chiesa bresciana. Don Angelo Piardi, nativo di Gussago, è tornato in Uruguay lo scorso anno dopo esserci stato per dieci anni, dal 1985 al 1996. La domanda è d’obbligo: quali aspetti della vita di questo Paese hanno subìto maggiori trasformazioni? «Mi ha impressionato la violenza nei confronti delle donne: in un paese piccolo con un numero relativamente basso di abitanti, si uccide una donna ogni nove giorni.
Eppure c’è una scarsa consapevolezza dell’alto livello di violenza domestica contro le donne, tanto che l’Uruguay è uno dei pochi Paesi al mondo che non possiede ancora una legge contro la violenza domestica. Un dato su tutti: sono aumentate in maniera notevole le gravidanze delle adolescenti, sostanzialmente povere, troppo spesso vittime di violenza». A proposito di procreazione, l’Uruguay è un Paese che, a differenza di altri Paesi latino-americani, ha scarsità di bambini e adolescenti. A cosa è dovuta questa significativa situazione? «Credo sia dovuto alla mancanza di speranza in un futuro migliore. In Uruguay oltre la metà dei bambini che nascono, nasce nella povertà, che rafforza il processo di esclusione. Le disparità a livello di povertà sono in aumento. La mortalità infantile è diminuita, ma esistono differenze allarmanti fra le varie zone.
Sulla ricca costa orientale di Montevideo è di 4 per ogni 1.000 nati vivi; nei quartieri periferici di Montevideo vi sono 40 morti per ogni 1.000 nati vivi. E poi il Paese è molto indietro nel campo dei diritti dell’infanzia e della gioventù, basti pensare che non ha ancora adottato la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia. Tutto questo non aiuta certo a desiderare altri figli, oltre al fatto che molti giovani uruguayani emigrano in cerca di una vita più dignitosa». Eppure l’Uruguay era un Paese, agli inizi del XX secolo, di forte immigrazione soprattutto europea. Ora le cose vanno così male? «Ripeto, anche qui manca speranza. Le imprese assumono meno lavoratori e gli imprenditori sono piuttosto pessimisti riguardo alla ripresa dell’economia. Abbiamo avuto nello scorso anno un minor numero di posti di lavoro praticamente in tutti i settori dell’economia.
La concentrazione delle vendite in mano alle grandi catene di supermercati, la conseguente scomparsa dei piccoli esercizi commerciali e lo strangolamento economico dei fornitori, praticamente tutte multinazionali occidentali, comportano la perdita di migliaia di posti di lavoro. L’elemento peculiare è la capacità di espansione delle grandi catene dei supermercati che stanno trasformando l’Uruguay in un unico, grande oligopolio. Non esiste alcun esercizio commerciale che non si senta colpito, in misura più o meno grave, dall’enorme potere dei supermercati. Purtroppo la resistenza politica è arrivata in ritardo. Ma ciò evidenzia le peggiori conseguenze del libero commercio, senza regole né autorità veramente in grado di regolamentarlo. L’ultima indagine sul reddito familiare ha scoperto che il 25% delle famiglie uruguayane guadagna meno di 5.000 pesos uruguayani al mese, poco più di 400 dollari». E riguardo alla sua attività pastorale in Uruguay ed al cammino della Chiesa, cosa ci può dire? «È ancora la speranza che anima il cammino della Chiesa in Uruguay.
L’atavico laicismo del popolo e l’indifferenza religiosa, caratteristiche dell’uomo uruguagio, invitano la Chiesa a una pastorale di annuncio e testimonianza dei valori evangelici, fatta di accompagnamento e attenzione alla persona e di formazione per un laicato più maturo e protagonista. Riguardo alla mia attività pastorale in particolare mi trovo a dovere fare i conti con l’urgenza di una laicato maggiormente formato e preparato a contrastare il dilagare delle sette, a preparare gli animatori delle comunità di base e rimotivare il senso del vivere a una gioventù sull’orlo della delusione e senza prospettive per il futuro».